Il Flauto magico da Vienna alle township
Successo al Ravenna Festival
Recensione
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Ben tre Flauti magici tutti diversamente unici, in questa prima metà dell'anno: prima "Un flauto magico", libero adattamento di Peter Brook al Piccolo di Milano; poi l'opera in cartellone alla Scala, in versione musicalmente come è ovvio canonica, ma con le invenzioni sceniche e di regia del sudafricano William Kentridge, rinomato artista contemporaneo; infine a Ravenna Festival "Mozart's The Magic Flute - Impempe Yomlingo", in cui la magia con cui viene riproposto il capolavoro mozartiano è pure sudafricana, ma qui pressoché integralmente: regia - Mark Dornford-May è britannico, ma sudafricano di adozione - compagnia, rielaborazione della musica e del testo, voltato in inglese. Il Mozart ricreato in scena con un complesso di marimbe da cantanti-strumentisti-ballerini - tutti neri - di travolgente versatilità che senza partiture, a memoria, si alternano dietro gli strumenti - persino Pamina quando non canta a volte suona - ha un effetto esplosivo. Nella trasfigurazione, intorno alle melodie mozartiane e al canto lirico, entra tutta la sopraffina cultura popolare corale e coreutica sudafricana, con esiti di vivacità contagiosa: e col suo prevalere del bene e la sua idea di elevazione dell'uomo, la favola morale del Flauto magico (che qui assume il suono jazz di una tromba) non manca di tingersi, senza nessuna banale forzatura, di riferimenti alla storia recente del Sudafrica. Non tutte le voci protagoniste sono sempre convincenti come quella di Pamina: ma non su questo l'operazione va giudicata. Piuttosto sull'averci gioiosamente ricordato, con tutta la tradizione che il Sudafrica nero può vantare in questo campo, che in definitiva - lo si chiami Zauberoper o Singspiel - il Flauto magico allestito nel 1791 in un teatro di periferia era un musical popolare.
Interpreti: Eric Abraham-Isango Ensemble Adattamento e regia: Mark Dornford-May
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