Bergamo di Fresu
Il trombettista sardo ha chiuso il suo triennio di direzione artistica
Recensione
jazz
Con il direttore artistico infine sul palco, unica volta in tre anni (bell’esempio di deontologia professionale e/o di onestà intellettuale), si è conclusa la rassegna di Bergamo Jazz 2011. E con Paolo Fresu accanto al settetto Funk Unit del trombonista Nils Landgren si è chiuso anche il mandato bergamasco del trombettista sardo, che dall’anno prossimo lascerà la direzione al collega e maestro Enrico Rava. Un bilancio triennale indubitabilmente positivo per quanto riguarda il riscontro del pubblico: questa trentatreesima edizione in particolare si è distinta per il regolare tutto esaurito e per una platea appassionata e plaudente. L’eterogeneità del programma, d’altro canto, se non denotava la rassegna di particolari coerenza e personalità, sembrava proprio destinata a catturare gli ascoltatori più diversi. Ed è stata un po’ questa la cifra stilistica del triennio, lungo il quale il festival è diventato significativa vetrina per nomi consolidati del panorama nazionale ed internazionale, con sintomatiche sortite “esotiche”, buona rappresentanza Ecm e qualche presenza “storica”. Quest’anno sul palcoscenico del Teatro Donizetti si è ascoltato il ritorno di Tomasz Stanko, con una performance rigorosa quanto ridondante nelle forme e nelle sonorità, e l’esordio europeo del Frank Zappa di Stefano Bollani. Si è proseguito con il Domenico Scarlatti di Enrico Pieranunzi, ai vertici del cartellone, nonché una delle riletture del repertorio cosiddetto colto più riuscite e stimolanti di sempre, e la saudade intimista di Gilberto Gil, per soli violoncello, chitarre e voce. E si è chiuso con il quarantennale sodalizio tra Chick Corea e Gary Burton, algidi virtuosi spumeggianti, come d’abitudine, ed i danzanti funky grooves del suddetto trombonista svedese, bianco fuori, ma nero nell’anima.
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