Quindici anni di Larsen
A Torino la band festeggia con Baby Dee, Jamie Stewart e Little Annie
Recensione
pop
L’etichetta di “band da esportazione” colpisce con puntualità tutti quei progetti musicali troppo difficili, sfuggenti, scivolosi, troppo fluidi per incanalarsi nei circuiti nazionali. Un eufemismo, insomma, per quei gruppi che non se li fila nessuno in Italia. Eppure – diciamolo con orgoglio antisciovinista – forse è anche meglio così, se una band come i torinesi Larsen arriva a festeggiare un quindicennio di liquida freschezza mettendo in campo al Teatro Astra di Torino – in ironica coincidenza con la finale di Sanremo – rinforzi dalle molte collaborazioni di pregio degli ultimi anni.
L’apertura tocca al set in piano solo Baby Dee, artista transgender statunitense nota per la sua collaborazione con Antony and the Johnsons, e che ha nell'Antonio anglo-newyorkese una controparte critica: un Antony in cui la malinconia corre sottopelle, venata come da una sottile ironia che “distanzia” l'interpretazione dalla materia della canzone. I testi scivolano su un accompagnamento pianistico multiforme, che suona ora romantico, ora pienamente collocato nella tradizione della grande canzone americana. Toccante e intenso, nel buio totale, Baby Dee regala un set breve – neanche una ventina di minuti – di sublimità pop.
La seconda parte è dedicata all’anteprima del nuovo lavoro dei padroni di casa Larsen, “Cool Cruel Mouth”, con la voce di Little Annie: diva d’altri tempi (nel senso migliore del termine), la performer americana attrae a sé, quasi in movimento centripeto, tutti i musicisti. Il risultato è una delle cose più simili alla forma canzone “classica” mai tentate dai Larsen: grande qualità, resa sonora forse sottodimensionata, se vista in rapporto all'esaltante set conclusivo. Lì, con tutti gli ospiti a rotazione (oltre ai citati, Jamie “Xiu Xiu” Stewart e la violoncellista Julia Kent) la musica dei torinesi trova la sua perfetta resa: incastri matematici di ritmi, mélange di elettricità e suoni acustici, aperture liriche cariche di feedback (di larsen?), batteria essenziale, talvolta dal sapore Sigur Ròs (il che fa pensare: se i Larsen fossero islandesi, dove sarebbero ora?).
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