Trascendenti storicisti
Il pianista Jason Moran ospite alla rassegna torinese Linguaggi Jazz
Recensione
jazz
La storia del jazz è forse la più avvincente narrazione che sia mai stata raccontata, anche perché dalla vicenda pressochè illimitata. Lo sa bene il talentuoso pianista afroamericano Jason Moran, che di questo racconto è uno dei molti grandi protagonisti-narratori. Solista raffinato, Moran comprende e reinventa nel suo pianismo i più diversi stili e la lezione di molteplici maestri della tastiera afroamericana: da Duke Ellington a Thelonious Monk, del quale è vero e proprio diretto epigono, da Fats Waller ad Andrew Hill. Uno dei pianisti più interessanti e originali dell’odierna scena jazzistica, sempre in equilibrio tra classicità e avanguardia, capace di riflettere costantemente sulla propria tradizione, come un’ulteriore imprescindibile memoria storica. Un approccio (diremmo) storicistico, il suo, ampiamente dispiegato nel concerto al Conservatorio G. Verdi di Torino, nell’ambito della notevole Rassegna Linguaggi Jazz, manifestazione ideata e promossa dal Centro Jazz Torino. Accompagnato dal riflessivo Tarus Mateen al basso elettrico e l’energico Nasheet Waits alla batteria, i fidati componenti del Bandwagon con i quali ha appena inciso il celebrativo "Ten" (Blue Note, 2010), Moran ha messo in mostra tutto il suo vasto repertorio tecnico-stilistico, alla guida di un trio affiatato e molto disinvolto nell’interazione fra le parti. Cruciali alcuni momenti: dalla storica "Body and Soul" cantata da Eddie Jefferson improvvisamente diffusa dagli altoparlanti, sulla quale i tre hanno cominciato a improvvisare, ad un’esoterica versione di "Crepuscole with Nelly", passando per un’asciugata esecuzione di "Song for My Father", fino al bis di chiusura, in cui il loop di un vecchio blues forniva lo sfondo su cui imbastire una sorta di spiritual del futuro. Trascendenti.
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