Flussi flessibili e anomalie contemporanee
Henry Threadgill con Zooid sul palco della Sala Vanni di Firenze
Recensione
jazz
Henry Threadgill sin dagli anni Settanta rappresenta una delle più stimolanti tracce creative della scena contemporanea. Con le esperienze degli Air, il Sextett, il Very Very Circus ed ora gli Zooid, ha sempre salvaguardato una propria cifra stilistica e di ricerca che non trova eguali nei tanti percorsi della musica afroamericana. Originalità che si esplica su piani diversi, sulle relazioni strumentali in organici anomali, sulle fonti (folklore, blues, gospel, r&b, improvvisazione e riferimenti accademici), sulla scrittura come sul piano solistico. Queste facce formano un quadro musicale dove vanno in collisione aspetti etnico-popolari, tradizione, ricerca su tempi irregolari e strutture ritmico – melodiche in continua evoluzione. A Firenze gli Zooid regalano un set di musica sfuggente e obliqua. Threadgill attraverso una raffinata scrittura non rigida ma aperta a continui capovolgimenti, infinite interazioni, crea ambientazioni espressive su stratificazioni mutanti e incompiute. Non suona molto, preferisce verificare che il flusso sonoro scorra, a volte interviene nella forma della conduction, sposta gli equilibri, i suoni, come macchie di colore. Durante l’ipnotico turbinio dell’insieme i soli risultano spessore di un corpo unico dal quale non possono prescindere, mai si muovono su spazi vuoti. La tuba e il trombone di Jose Davilla, la chitarra di Liberty Ellman, il basso di Stomu Takeishi, la batteria di Eliot Humberto Kavee interpretano mirabilmente con straordinaria flessibilità le parti scritte come gli spazi liberi in un continuo interscambio di ruoli e idee. Da parte sua Threadgill quando imbocca flauto e alto trasmette la serenità e l’orgoglio di un giovane sessantaseienne che ha scritto un pezzo della cultura afroamericana.
Interpreti: Henry Threadgill sax alto, flauto - Jose Davilla tuba, trombone - Liberty Ellman chitarra - Stomu Takeishi basso - Elliot Humberto Kavee batteria
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