Radio libera Ribot
Il chitarrista, a Torino con Chad Taylor e Henry Grimes, omaggia la musica free
Recensione
jazz
«…credono che l’eredità di Ayler non sia la creazione di realizzazioni estetiche di concetti già scritti, o piccole sfilate delle abilità virtuosistiche degli interpreti. Quello che Spiritual Unity cerca è un processo rituale, attraverso l’interpretazione, attraverso l’esperienza dei momenti più puri della creazione musicale». Queste le note di copertina di “Spiritual Unity”, esperienza discografica dedicata alla musica (e al pensiero – che è poi la stessa cosa) di Albert Ayler, incisa nel 2004 per la Pi Recordings. Il disco è alla base di questo trio con Marc Ribot, Chad Taylor e Henry Grimes (manca all’appello il quarto protagonista, la tromba di Roy Cambell). La riuscita dell’omaggio e della dedica, in questo caso, si misura da quanto la musica suoni “personale”: così è, al termine di quasi due ore di concerto libero e sublime, travolti dalla batteria chicagoana (nel senso estetico del termine) di Chad Taylor, dalla statura del 75enne Henry Grimes (già tra i primi protagonisti di quella musica) e dalla chitarra “radiofonica” di Marc Ribot, capace di captare le frequenze più disparate in flusso continuo di influenze, di rock, di esotismo, di potenziometri gracchianti ed effettistica vintage. Ribot, di ritorno a Torino dopo il memorabile passaggio in solo dell’anno scorso al FolkClub (anche questo evento è organizzato dallo storico locale di via Perrone, in rara accoppiata con Musica 90) conduce il palinsesto con la sua studiatissima naïveté. Nella lunga sezione iniziale, inquieta e senza appoggio armonico, con Grimes alternato tra il contrabbasso (perlopiù ad archetto) e il violino, Ribot si avvinghia alla chitarra, ostinandosi su frammenti tematici di 4-5 note, passando continuamente dal pickup – ricco di sustain - al suono secco e legnoso della sua Gibson elettroacustica, ripresa con un microfono. Poi, nella seconda parte, si apre a momenti di grande lirismo, capta frequenze di mambo, di surf, di John Coltrane, fino al liberatorio blues finale.
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