Le luci della centrale acustica (quasi)
Un trio d'archi elettrificati per il mini-tour di Vasco Brondi: il successo dell'esordio a Torino
Recensione
pop
Una curiosa coincidenza – annotata dalle pagine torinesi di tutti i quotidiani – la contemporaneità delle esibizioni di Vasco Rossi e dell’”altro Vasco” della canzone italiana, Vasco Brondi – alias Le luci della centrale elettrica. Una coincidenza da cui misurare delle distanze: «E poi ci ritroveremo come le star, nei peggiori bar a lavorare, e negli autogrill di Ferrara nord a dormire» canta Vasco (indovinate quale?), bardo generazionale e post-adolescenziale di una provincia padana cattiva, sporca, di Ipercoop e petrolchimici: il correlativo geografico di “questi cazzo di anni Zero”. Proprio dal libro di Brondi (“Cosa racconteremo di questi cazzo di anni Zero”, Baldini Castoldi & Dalai) si dipana il filo di questo concerto, il primo di un minitour “acustico” nei teatri (Bologna, Roma e Milano le prossime date) in chiusura del “lungo inverno” di “Canzoni da spiaggia deturpata” e in attesa dell’atteso e temuto secondo disco.
Vasco si affianca a un trio d’archi elettrificati raccolto dal meglio del rock indipendente italiano, con Stefano Pilia al contrabbasso (già con Massimo Volume), Rodrigo D’Erasmo (Afterhours) al violino e Guglielmo Ridolfo Gagliano al violoncello (Paolo Benvegnù). I tre non snaturano l’abito grezzo delle canzoni di Vasco, confermandone anzi – attraverso arrangiamenti minimali e cupi, fatti di delay e feedback, raramente illuminati da squarci lirici – il profilo melodico quasi assente, l’ossessiva ripetizione di frasi, l’urgenza dell’accumulo di immagini. Vasco, dal canto suo, sceglie una via ancor meno melodica che sul disco, disturbando la struttura delle sue canzoni con inserti di spoken poetry e dilatando i tempi fino a dare l’impressione di un unico, lungo recital-sfogo, ora parlato a mezza voce, ora urlato. In apertura e chiusura – prima di scendere tra il pubblico per un secondo bis non elettrificato - due cover, declamate da Vasco come fossero canzoni sue: “B.B.B.” dei CCCP (pegno dovuto) e “La domenica delle salme” di Fabrizio De André: pegno decisamente meno atteso, ma in fondo coerente.
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