Minestrone fusion e Silver per dessert
Omar Sosa e il tributo a Horace Silver del SFJC chiudono l'edizione 2010 di Bergamo Jazz
Recensione
jazz
A chi sostiene che il pubblico del jazz sia di gusti raffinati (a volte pure troppo...) giunge sonora la smentita dall'ultima serata dell'edizione 2010 del Bergamo Jazz Festival. Non si spiega altrimenti - con tutto il rispetto per le centinaia di paganti che hanno affollato questa bella edizione - il grande entusiasmo che la platea del Donizetti ha riservato a un concerto di grana grossa come quello del quintetto di Omar Sosa.
Il pianista cubano ha cucinato un'ora di minestrone fusion pesantemente addizionato di africanismi OGM, tutto giocato su una concezione atletico-spettacolare della musica, prima ancora che ritmica.
Alternando momenti convulsi e sovraccarichi (complice il drumming chiassoso di Julio Barreto) e atmosfere di pretesa suggestione etnica, con la voce della maliana Mamani Keita, Sosa si è confermato un musicista la cui sintesi di linguaggi sembra puntare più a un facile effettismo che all'apertura di rinnovate geografie.
Per fortuna il pubblico ha riservato grande calore anche al secondo concerto in programma, che ha visto sul palco il San Francisco Jazz Collective. Vera e propria all-star, l'ottetto dedica periodicamente tributi a nomi storici del jazz, quest'anno Horace Silver, e ha offerto al Donizetti una prova convincente. Insieme a classici di Silver come "Cape Verdean Blues" o "Lonely Woman", il collettivo ha proposto composizioni originali come "Collective Presence" (firmata da Ed Simon) o "Harlandia" del batterista Eric Harland, mostrando i propri punti di forza in arrangiamenti variegati e in una pattuglia di solisti eccellenti - dal vibrafono di Stefon Harris al tenore di Mark Turner, passando per Robin Eubanks al trombone - e offrendo una musica di sintesi originale della tradizione hard-bop. Bis con "Song For My Father" e tanti applausi.
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