Swing enciclopedico e conservatore
Al Venezia Jazz Festival la Jazz at Lincoln Center Orchestra di Marsalis spazia tra Monk e Ellington
Recensione
jazz
Arriva e riempie il Teatro La Fenice per il Venezia Jazz Festival la Jazz at Lincoln Center Orchestra di Wynton Marsalis, formazione che riflette con cesellata perfezione il "pensiero" del suo leader, un’idea del jazz che è programmaticamente impermeabile a qualsiasi apporto posteriore ai primi anni Sessanta. La cosa è ormai assodata e si sono spese colonne di riviste e saggi per dibatterne: a noi continua a suonare reazionaria e limitante, specialmente per un trombettista non solo dotatissimo, ma anche intelligente, come Marsalis, ma tant’è e la serata veneziana ha confermato un’attitudine di alto professionismo dal sapore vagamente impiegatizio. Repertorio vario e interpretato con rodato multistilismo: c’è qualche Monk (che nei sontuosi arrangiamenti perde la sua naturale inquietudine, come in "Ugly Beauty") e un po’ di Ellington (belle "Paris Stairs" e "Bragging’ in Brass", un po’ stucchevole il duetto clarone-piano di "Single Petal Of A Rose"), lo storico arrangiamento di Fletcher Henderson del "Bolero" di Ravel e "Blues Walk", accanto a una manciata di brani originali. Nel diluvio di assoli – ma Marsalis è stato estremamente parco, ritagliandosi pochi momenti di protagonismo – spiccano Ted Nash ai sassofoni e Vincent Gardener al trombone, vengono sottoutilizzati strumentisti di vaglia come Marcus Printup o Ryan Kisor, mentre la ritmica ci è sembrata la sezione più debole della band, piuttosto rigida e monocorde.
Il pubblico reclama un bis e Marsalis lo accontenta con un semplice blues in ottetto e via tutti a casa contenti, la "purezza" del jazz è salvaguardata anche questa volta, con buona pace di altri 50 anni di musica afroamericana per grande organico, dalla Jazz Composers’ Orchestra a Butch Morris. File under: conservazione dei beni jazzistici!
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