Unità sonore in azione
Composizioni, tradizioni, improvvisazione e dialoghi aperti per il quartetto di William Parker
Recensione
jazz
Col passare degli anni, le relazioni fra le persone possono favorire un'intesa che trasforma un gruppo in un'unità: accade di rado, ma è senz'altro il caso del William Parker Quartet. Pochi e non facili da gestire gli elementi dell'ottima musica di Parker: composizioni originali, passione dichiarata per le tradizioni afroamericane (da Mingus al reggae) senza alcuna piaggeria, spazio all'improvvisazione, ai dialoghi sonori, legittimità dell'imprevisto e delle occasioni di cambiamento. È un gioco che i quattro compagni di viaggio conoscono a menadito, ma che li vede concentrati, sereni, giocosamente sopra le righe, grazie alla capacità di re-interpretare di volta in volta le linee essenziali che danno forma al flusso sonoro: riff di basso, arrangiamenti e stacchi a due voci per i fiati, poliritmi e cambi di tempo, libere uscite in cui non si esclude di suonare “in contrasto” con le idee altrui. Se Drake e Barnes, ottimo anche nel dub, sono l'anima giocosa e pulsante del gruppo, Brown rimane il più riflessivo e attento ai “prestiti” da altri “pianeti”. E così è sempre troppo presto quando Parker annuncia che anche stavolta è arrivata a portarseli via la navicella spaziale che per due ore li aveva lasciati in prestito all'inaugurazione del capiente ed accogliente Elefante Rosso, spazio che dalle parti di Marghera (Venezia) promette interessanti esperimenti e incontri musicali. Intanto è stato battezzato come meglio non si poteva: ora l'iniziativa passa all'house band di Tommi Cappellato.
Interpreti: William Parker, contrabasso, Rob Brown, sax alto, Hamid Drake, batteria, Lewis Barnes, tromba
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