I sette peccati veniali
La Faithfull, già ribelle e dannata, è approdata all'Accademia di Santa Cecilia.

Recensione
classica
La vicenda artistica di Marianne Faithfull è un seguito di successi, cadute e soprattutto trasformazioni. Oggi è una eclettica cantante e attrice e tra i suoi autori ci sono anche Brecht e Weill, di cui ha inciso nel 1998 i “Sette peccati capitali”, finiti in vetta alle classifiche di musica classica in mezzo mondo e ripetuti in prestigiose sale da concerto. A giudicare dalla sua performance romana, questo personaggio già imprevedibile e incontrollabile è ora una posata signora sessantaduenne, ma i suoi trascorsi sregolati hanno lasciato il segno sulle corde vocali, trasformando la voce limpida e quasi infantile di un tempo in quella calda e roca di oggi. Sarebbe proprio la voce adatta per il cinismo e l'arrivismo feroci della protagonista dei “Sette peccati capitali”. Però, mentre la Lenya e la May toglievano la pelle agli ascoltatori, la Faithfull ha una visione pacificata e rilassata di questi peccati, che diventano veniali e fanno quasi venire un po' di malinconia per quel piccolo mondo antico di peccatucci borghesi. Si direbbe che la Faithfull voglia dirci che quel che fa Anna non è assolutamente condannabile, quasi fosse una specie di Irina Palm, l'ultimo personaggio da lei interpretato al cinema, la serafica vecchietta che svolge con innocenza e scrupolo il suo strano lavoro. Questa chiave interpretativa piuttosto riduttiva e molto "british" è favorita dalla sostituzione del graffiante e aspro testo originale tedesco con la forbita versione inglese di Auden e Kallman. La Faithfull riesce comunque a essere protagonista assoluta - e non è facile - per quaranta minuti, ma lo Hudson Shad Quartet e il direttore Ingo Metzmacher l'hanno molto aiutata a non far calare la tensione. Per l'immaginario del pubblico resta sempre un mito e gli applausi non sono mancati.
Interpreti: Marianne Faithfull, Hudson Shad Quartet
Orchestra: Accademia di Santa Cecilia
Direttore: Ingo Metzmacher
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