I nuovi miti americani per l'opera di domani

Al Lugo Opera Festival (in coproduzione col Teatro Comunale di Bologna), debutto italiano della chiacchierata pop opera di Koestenbaum e Daughterty (1997): testo gradevolissimo, realizzazione musicale e scenica esemplari, con interpreti vocali quasi sosia di tanti protagonisti del jet-set anni '60. Bel successo per uno spettacolo che merita di essere conosciuto.

Recensione
classica
Teatro Rossini LUGO
Michael Daugherty
03 Aprile 2008
Dove va l'opera nel XXI secolo? "Jackie O" (1997) è una delle risposte possibili. Il libretto di Koestenbaum (quello di "The Queen's Throat" su opera e omosessualità) allinea in scena Liz Taylor e Grace Kelly, Callas e Onassis, riuniti nel 1968 in casa di Andy Warhol per un happening del jet-set; ed è un bel vedere, per la straordinaria somiglianza degli interpreti prescelti. Giunge inattesa Jacqueline Kennedy decisa a rientrare in società dopo il lutto: Jackie "O" come Onassis che l'accoglierà nel secondo atto sul suo yacht, come Orfeo (icona della cultura gay), che visita l'Ade per ritrovare la sua Euridice, così come Jackie passa attraverso il matrimonio col magnate greco per ritrovare in un contatto metafisico il suo vero amore con JFK: una bella favola americana, che sublima in mito la ben diversa realtà dei fatti, eleggendo la donna a icona, immagine vuota passibile di mille contenuti, come la lattina di pomodori Campbell immortalata da Warhol, che domina la scena come unico elemento plurifunzionale. Musica eclettica, come si suol dire, in un sincretismo stilistico spaziante dal pop al minimalismo, dal tango al cha-cha-cha. Michael Daughterty propone belle armonie, sgargiante strumentazione per un'orchestra quasi classica. La scrittura rispetta sempre le voci, le ama, le fa cantare in modo ortodosso per 90 minuti, pretendendo cantanti tradizionali: tutti idonei alla parte sostenuta. Il primo atto ha il ritmo esuberante del musical, il secondo s'impantana in un lungo duetto consolatorio fra le due amanti di Aris. La linfa vitale viene tutta dalla regia, e non poteva essere altrimenti, essendo firmata da quello straordinario genietto appena trentenne che risponde al nome di Damiano Michieletto, capace più di Mida di trasformare in TEATRO ogni testo che tocca.

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