Mare e Miniere 2 | I concerti e le generazioni

Da Peppe Voltarelli al Duo Bottasso, i concerti della decima edizione di Mare e Miniere

Recensione
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L’insistenza sui seminari fa dimenticare che Mare e Miniere è anche un festival, e con una programmazione di alto livello.

La settimana si apre con Peppe Voltarelli e il suo progetto dedicato a Otello Profazio: è un progetto rodatissimo, ha vinto la Targa Tenco l’anno scorso e ha girato in Italia e nel mondo (con una lunga tournée in America, ad esempio).

La mia impressione è che Voltarelli abbia trovato la sua vera dimensione da solista, la sua personale “cosa”, soltanto con questo progetto. Non che i suoi lavori da cantautore non fossero degni di nota (specialmente il terzo, anno 2014, Lamentarsi come ipotesi): ma restava sempre, sullo sfondo, l’impressione di qualcosa di già sentito, che solo la verve dell’intrattenitore riusciva a far dimenticare, e soprattutto dal vivo. Il lavoro su Profazio, che pure è un lavoro di omaggio piuttosto fedele, riesce invece a conferire al personaggio-Voltarelli una profondità che prima non aveva. Le canzoni del repertorio profaziano (da “La leggenda di Colapesce” a “Qua si campa d’aria”, fino ai brani “proibiti” di Amuri e pilu) ritornano, in bocca a Voltarelli, come nuove di pacca, fresche, vive. Non sono canzoni semplici da rendere con credibilità, Voltarelli non solo ce la fa, ma riesce a traghettarle nel nuovo millennio e a farle sue, inventandosi una filiazione sulla linea della “calabresità”. E anche i suoi brani, quando arrivano a fine concerto, sembrano assumere un significato diverso, come se avessero improvvisamente messo radici, succhiando significato da quel repertorio, da quella lingua, da quello sguardo sul mondo.

Seconda sera con Carlo Rizzo e Lucilla Galeazzi: il percussionista italo-francese e la cantante umbra non suonavano insieme da molti anni. Il loro progetto Il Trillo, con Ambrogio Sparagna all’organetto, ha rappresentato una tappa importante nella storia del folk revival italiano nella stagione post-Settanta, per come rileggeva i materiali della tradizione (l’unico disco, omonimo, risale al 1992). Carlo Rizzo, nel frattempo, si è confermato come figura di punta nell’innovazione tecnica e di liuteria sul tamburello, che ha suonato in tutti i generi e contesti – dalla musica medievale alle composizioni colte, ad esempio collaborando con Giorgio Battistelli, come ha raccontato in un incontro la sera seguente. (Potremmo dire che il suo tamburello sta al tamburello tradizionale come la chitarra preparata di Paolo Angeli sta alla chitarra sarda). In duo con la Galeazzi, Rizzo si prende la scena solo in un paio di occasioni, mostrando la quantità inaudita di cose che può fare un tamburo a cornice, e lascia alla collega il compito di tenere il filo del discorso: la Galeazzi spazia dai ricordi di ricerca sul campo con Valentino Paparelli a composizioni sue, in uno show intenso e divertente, che intreccia i canti con le sue storie personali, di amici e colleghi incontrati lungo il cammino. Un pezzo di storia del folk italiano che si racconta, e che apre una finestra sulla quantità di percorsi, ancora tutti da indagare, che ne hanno costituito le vicende.

La sera successiva tocca a Rachele Colombo, accompagnata da Domenico Santaniello al violoncello e Marco Rosa Salva ai flauti: la Colombo presenta il suo lavoro Cantar Venezia – Canzoni da battello del 700, uscito per Nota e vincitore del Premio Loano per la musica tradizionale italiana. È un lavoro interessante e illuminante, quello della Colombo, che riesce a disvelare un repertorio minore e storicamente ignorato, perché collocato in una zona grigia fra colto e popolare e – anzi – pienamente riconducibile all’ambito del “popular”, alle musiche urbane di intrattenimento che si definiscono fra XVIII e XIX secolo in molte città del mondo.

Giovedì sera lezioni di musica con il Trio Correnteza, progetto di Gabriele Mirabassi con Cristina Renzetti e Roberto Taufic: il repertorio, quello brasiliano di Tom Jobim e dintorni, è forse quanto di più sfruttato e battuto esista al mondo. Eppure il trio trova una sua personale chiave di accesso, incentrata sul virtuosismo di gruppo e su un’intesa perfetta fra le tre voci – chitarra, canto, clarinetto. La Renzetti fa sua la lingua poetica della bossa nova senza birignao e senza indulgere in effetti speciali, ma con pronuncia tonda e timbro cristallino, al punto che spesso nel registro alto finisce con il mimetizzarsi fra le note del clarinetto. Mirabassi e Taufic smontano gli arrangiamenti andando ciascuno per la sua strada, con la padronanza e la sicurezza di chi conosce dei brani ogni deviazione armonica, eppure alla fine – in qualche modo – i tre fili del discorso si intrecciano e si completano. Tecnica, sì, ma soprattutto intesa, divertimento. Una lezione su come si suona, ma soprattutto su come si fa musica insieme.

Un post condiviso da Jacopo Tomatis (@jacotomatis) in data: 7 Lug 2017 alle ore 09:15 PDT

La pioggia del venerdì costringe a spostare la serata dai magnifici Giardini dell’Acropoli al cortile del Museo del Mare: ne esce una serata speciale, con la folla stretta sotto ombrelli e ombrelloni in religioso silenzio, all’ascolto del bel progetto di Simonetta Soro con Concordu e Tenore di Orosei e Mauro Palmas alla mandola. Persiane azzurre – questo il titolo – è una raffinata indagine sulla “sardità”, condotta attraverso le parole dei poeti sardi contemporanei (Alberto Màsala, Antonella Anedda, Lorena Carboni, Maria Gabriella Ledda, Marcello Fois e Sergio Atzeni – l’unico non vivente, e morto in mare a poca distanza da Sant’Antioco), giustapposte alla tradizione del canto a tenore e a concordu. Ne esce una riflessione sulle identità culturali per nulla scontata, in cui le parole più ricorrenti riportano a una storia di sopraffazione, di violenza, di abbandono, di frammentazione, di distacco, più che idealizzare un passato mitico o un regionalismo oleografico. Un bellissimo progetto, qui presentato in anteprima, che si spera possa trovare sviluppi futuri.

A seguire un’altra novità: il duo Oud.org, di Ziad Trabelsi (oud) e Alessandro D’Alessandro (organetto), interessante tentativo di mettere insieme lo strumento principe della tradizione araba con il simbolo sonoro della nuova musica folk italiana. L’incontro, prima che fra culture, è fra musicisti curiosi: Trabelsi è un virtuoso dello oud, capace di piegare lo strumento anche ad altri generi e contesti. D’Alessandro appartiene a quella generazione di trentenni che sta portando l’organetto diatonico verso nuove strade, elettrificandolo e processandolo elettronicamente: molte le strade possibili su questo terreno comune, e quanto ascoltato fa prevedere un progetto duraturo e importante.

Un post condiviso da Jacopo Tomatis (@jacotomatis) in data: 7 Lug 2017 alle ore 09:15 PDT

La chiusura della settimana – dopo il concerto finale dei partecipanti ai seminari – spetta a Luigi Lai, Nando Citarella e Mauro Palmas, e Duo Bottasso, alla cantina Sardus Pater di Sant’Antioco: tre generazioni diverse di musicisti, diverse storie, diverse origini e diversi stili, e diversi percorsi che si intrecciano intorno a Mare e Miniere: un buon riassunto della settimana, oltre che una festa finale. Se esiste una "scena" del folk oggi in Italia, se ancora ha senso parlare di una comunità che si riconosce in queste musiche, è probabile che un giorno riconosceremo negli incontri di Sant'Antioco un momento chiave negli sviluppi di tecniche, repertori, idee e quant'altro.

Un post condiviso da Jacopo Tomatis (@jacotomatis) in data: 7 Lug 2017 alle ore 09:13 PDT

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