Festival des Nomades 1 | 5 allegri ragazzi nomadi
Prima puntata dal Festival des Nomades di M'Hamid El Ghizlane, Marocco
È sempre interessante scoprire come gruppi che visti dall’Europa ci appaiono spesso come un’incarnazione – l’ennesima – di quell’esotismo ancora così centrale della fascinazione occidentale per le “musiche del mondo”, siano altrove dei veri idoli giovanili, musica veramente popular.
Se sei nato a M’Hamid El Ghizlane e hai 16 anni, per esempio, i tuoi idoli sono i Tinariwen. In effetti, qui non c’è molto da fare a parte suonare la chitarra: 7000 abitanti più o meno, a due ore di macchina dalla più vicina città degna di questo nome (Zagora – che comunque fa all’incirca gli abitanti di Alba: insomma, non proprio una metropoli), M’Hamid è l’ultimo paese prima del deserto del Sahara. Il posto dove – letteralmente – la strada asfaltata finisce: Marocco profondo, si potrebbe dire, lontanissimo dal caos turistico di Marrakech e dalla borghesia occidentalizzata di Casablanca o Rabat. Già l’idea di fare un festival qui, con i problemi logistici che può comportare, sembra campata per aria: una trovata per turisti, vista da fuori. Non è così: il Festival des Nomades sembra aver più a che fare con dinamiche comunitarie che non turistiche (pur ospitando, come è ovvio, moltissimi turisti): ne parleremo nei prossimi interventi.
Incontriamo i Jeunes Nomades de M’Hamid nel backstage prima della loro esibizione, la prima sera del Festival. Sono cinque, hanno dai sedici ai diciotto anni e suonano insieme da quattro. Alcuni vanno ancora a scuola, qualcuno ha smesso «per fare la propria musica», ci spiegano. Quando gli chiediamo se guadagnino con la loro musica fanno segno di sì, come se fosse ovvio essere pagati per suonare.
Un post condiviso da Jacopo Tomatis (@jacotomatis) in data: 22 Mar 2017 alle ore 08:02 PDT
Anche i Tinariwen sono stati qui a M'Hamid: all’altro festival del paese, il Taragalte, e soprattutto nel 2016 hanno registrato qui il loro ultimo lavoro, Elwan (qui trovate la recensione). Così, non può che essere «Tinariwen!» la risposta secca dei cinque giovani nomadi alla domanda su quali siano gli artisti che li ispirano di più. La seconda citazione è per Ibrahim Ag Alhabib, il leader del gruppo.
A differenza del gruppo maliano, i Jeunes Nomades non sono tuareg: cantano in arabo, più spesso in ḥassānī – un dialetto con molti elementi di arabo classico e di altre lingue dell’area sahariana e subsahariana, molto diffuso a sud di M’Hamid, in Mauritania e nella regione del Sahara occidentale. Fra la “loro” musica ci sono dunque anche artisti ḥassānī, oltre cose più ovvie come il raï di Cheb Khaled e Cheb Hakim, o Jimi Hendrix e Bob Marley (ma sembrano citare controvoglia artisti occidentali). Non amano troppo il rap, come i loro coetanei di molta parte del mondo (compreso il Marocco): interrogati, citano il rapper Muslim – molto popolare – ma si vede che preferiscono il “rock del deserto”. Su tutti, sopra tutto, ci sono sempre loro, i Tinariwen: i Jeunes Nomades hanno persino registrato un video con i loro idoli, mentre erano qui l’anno scorso: il chitarrista lo mostra orgoglioso sul suo smartphone (lo potete vedere qui sotto).
È un meraviglioso paradosso quello dei Jeunes Nomades. Sono giovani, vestono alla maniera tradizionale, ascoltano la musica sul cellulare (né, probabilmente, dispongono di un lettore cd: nell’intera M’Hamid, nonostante ci sia un festival, non si vedono circolare dischi, non sono venduti, sembrano non esistere). Amano una musica che in Europa suona come profondamente legata tanto alla tradizione del rock “classico” quanto a un esotismo, a una fascinazione terzomondista – ma che per loro è una tradizione diversa, tanto recente quanto forte, e che sentono come profondamente loro. Dichiarano senza esitazione che amano vivere alla maniera degli anziani, e che non vogliono andare via nonostante i problemi di questa zona povera e in corso di desertificazione. «Ogni sabato andiamo due giorni nel deserto per comporre e suonare la nostra musica» ci dicono, e affermano che «il Sahara è un posto per tutti». «Vogliamo vivere come i nostri nonni, senza elettricità», continuano – ed è inutile far loro notare che senza elettricità le chitarre elettriche non funzionano. Le loro canzoni sono come quelle dei Tinariwen, parlano della loro vita, della bellezza del deserto, dei problemi dei nomadi. «Quali sono questi problemi?» «Vieni a vivere qui e lo scopri», rispondono beffardi.
Un post condiviso da Jacopo Tomatis (@jacotomatis) in data: 22 Mar 2017 alle ore 08:02 PDT
Prima puntata del reportage dal Festival des Nomades di M'Hamid El Ghizlane, Zagora, Marocco – Articolo in collaborazione con Ente Nazionale per il Turismo del Marocco / Royal Air Maroc.
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