Sant'Anna Arresi 1 | Dedicato a Zappa

Torna Ai confini tra Sardegna e jazz, nel segno del compositore americano

Recensione
jazz
La prima volta A Sant’Anna Arresi in Piazza del Nuraghe fa un certo effetto, emoziona. Storia, suoni, colori, di questo festival sono come fissati, impregnati tra i gradoni dell’anfiteatro, tra le pietre antiche del nuraghe che domina dall’alto, anche nell’aria, che profuma un pò di mare. Trenta anni di resistenza tenace per affermare con coerenza, lontano da tentazioni modaiole e spettacolo, il jazz come identità culturale di popoli e comunità: avanguardie afroamericane, ricerca europea che si incontrano sotto lo sguardo di Madre Africa.

Nel 2010 Butch Morris, che qui ha elaborato tra le sue conduction più sghembe e visionarie, affermò «Frank Zappa è il più grande compositore del ‘900». Su questa, tanto condivisibile quanto discutibile sintesi, l’Associazione Culturale Punta Giara ha costruito l’edizione numero trentuno di Ai confini tra Sardegna e Jazz dedicandola al genio di Baltimora. Scelta rischiosa e coraggiosa, perché se è vero che Zappa ha frequentato e stravolto tutti i “generi”, rileggerlo, rappresentarlo, espanderlo significa anche avere la capacità di approfondire, immergersi nella sua filosofia creativa.

Ne è subito riprova la serata d’apertura con Memorable Stichs, quintetto di Sean Noonan, e a seguire il Tomeka Reid Quartet. L’esuberante batterista americano dal ciuffo ribelle si presenta molleggiando sul palco con indosso un luccicante accappatoio da boxeur come per sottolineare un approccio molto fisico con il proprio strumento. Così è. Tecnica muscolare al limite, tra rock e punk, voce ruggente con venature ironiche. la formazione costruisce un vero muro sonoro, denso e inestricabile, dove emergono ciclicamente il sax e il flauto di Harry Saltzman, le tastiere di Johnny Richards, la chitarra di Norbert Buerger (notevole la sua performance). Come da buona tradizione zappiana si aprono anche intermezzi idilliaci, canzoncine venate di un romanticismo kitsch che Noonan sa rendere con la giusta leggerezza. Alla fine però questa operazione, più che progetto, esprime i limiti di una rappresentazione, tra gestuale e musicale, di un elenco quasi didattico, a volte anche macchinoso, di ambientazioni che si rifanno a Zappa rimanendo però in superficie, imitativo, poco approfondito.
Più convincente Noonan la sera dopo con la sua ambiziosa concept opera Zappanation, dove al quintetto somma quartetto d’archi e coro. Un lungo e spericolato, a tratti avvincente, excursus tra estetiche zappiane. Questa volta in tenuta hawaiana, con tanto di camicie sgargianti e collane di fiori al collo, tutti sul palco contribuiscono alla costruzione di un affresco energetico, parossistico, dove i cambi di sonorità e ambientazione risultano ben equilibrati tra astrattismi, l’eleganza delle corde, voci e testi nonsense, momenti recitativi e gesto. Noonan è un leader irrefrenabile e megalomane, non sempre ha le idee chiare, gioca sinceramente sull’istinto e la provocazione. Da tenere d’occhio.

Altre atmosfere con il quartetto di Tomeka Reid, panorami rilassati, anche raffinati, intrecci di corde, introspezioni, pulsione regolare. La Reid e Mary Halvorson sono tra le personalità più interessanti e creative dell’ultima generazione. Entrambe cresciute nello stesso ambito culturale di ricerca, dintorni AACM e avanguardie chicagoane, la Halvorson allieva/collaboratrice di Braxton con la sua chitarra e pedaliere ha un ruolo più spregiudicato, radicale e visionario. Il violoncello della Reid si muove da riconoscibili nuclei melodici, agganci ritmici, per poi aprirsi a fascinose improvvisazioni su un suono impeccabile. Sul palco di Sant’Anna questo dualismo ha rappresentato il punto forte di un set piacevole, di un’idea progettuale ancora fragile ma in prospettiva di notevoli potenzialità evolutive.

L’atteso piano solo di Mattew Shipp è dedicato al compagno di tante battaglie musicali, il sassofonista David Ware scomparso prematuramente nel 2012. Proprio su questo palco nel 2004 si erano esibiti in un indimenticabile duo, ora documentato da un prezioso cd AUM prodotto dall’Associazione Culturale Punta Giara. Shipp si conferma un intrigante poeta della tastiera. Tocco scuro, percussivo ma anche leggerissimo che gli permette di entrare nelle trame di molti spunti tematici, anche standard, che appena accennati vengono poi diluiti, spezzati, vivisezionati nel loro profondo. Una lunga suite, con qualche passaggio trasparente e ripetitivo, ma fondamentalmente rigorosa dove dissonanze, strappi free e inquietudini vengono scolpiti sulla tastiera come schegge di una convincente elaborazione introspettiva.

Chiudono la terza serata i berlinesi Andromeda Mega Express Orchestra. Una piacevole sorpresa. Diciassette elementi che fanno del suono collettivo una vera ragione di vita. Una compatta big band new swing dove gli impasti tra legni, corde, ottoni, ance e flauti producono un andamento sussultorio, sempre denso, dove il silenzio non è contemplato se non per un sognante improvviso accordo dell’arpa. Complesso e pregevole il lavoro di orchestrazione che garantisce una costante fusione delle sezioni sempre accattivante. Da sottolineare la gestione democratica della formazione che non schiera un direttore ma responsabili di sezione che forniscono segnali di riferimento per gli attacchi. Repertorio vasto che ricorda i greggi hermaniani, con spunti anche minimalisti, molto moderatismo in verità nessuna tentazione radicale, ma tutto funziona con una freschezza coinvolgente.

È tardi, il tempo per quattro chiacchiere dopo concerto, una bevuta, poi a letto per essere pronti, freschi a nuove avventure sonore in terra sarda.

Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche

jazz

Pat Metheny è sempre lui: lo abbiamo ascoltato dal vivo a Madrid

jazz

La sessantunesima edizione della rassegna berlinese tra “passato, presente, futuro”

jazz

A ParmaJazz Frontiere il rodato duo fra il sax Evan Parker e l'elettronica di Walter Prati