La storia del jazz in libreria

Da Gioia a Sessa, il mercato editoriale italiano non è mai stato così ricco

Recensione
jazz
Mi è capitato spesso negli ultimi mesi che qualcuno mi chiedesse un consiglio su quale "storia del jazz" acquistare.

Me lo hanno chiesto amici, appassionate e appassionati incontrati a qualche festival, talvolta studenti di jazz al conservatorio o all’università, cui capita talvolta di trovarsi, specialmente nella fase finale del proprio cursus formativo, un po’ disorientati davanti alla prospettiva di elaborare tesi e tesine senza avere un più o meno solido quadro teorico di riferimento né certezza sulle fonti da consultare.

Come abbiamo già avuto modo di sottolineare, se questa domanda fosse stata posta solo pochi anni fa, la risposta sarebbe stata piuttosto laconica e imbarazzata, volendoci limitare ai soli testi disponibili in lingua o in traduzione italiana (Polillo, Hobsbawm, Berendt… con tutti i limiti del caso)

Ultimamente invece lo studente o l’appassionato trova in libreria una buona varietà di scelta, grazie alla compresenza sullo scaffale dei lavori dell’inglese Alyn Shipton (per Einaudi), dell’americano Ted Gioia (per Edt) e degli italiani Stefano Zenni (per Stampa Alternativa) e – da poco, ne abbiamo parlato con lui in una piacevole intervista qui – Claudio Sessa (per Il Saggiatore).

Non che questa – relativa – abbondanza "risolva" le cose a chi volesse una risposta univoca alla domanda con cui abbiamo aperto questa nostra riflessione.
Domanda che probabilmente di per sé è fuori fuoco, dal momento che le vicende di questo primo secolo di jazz sono ancora (e continueranno a essere) vive e attualissime proprio in quanto sottoposte a continue evoluzioni e spostamenti di prospettiva, ben lungi da una definitiva storicizzazione che, sebbene per gli anni più lontani da noi vada progressivamente e inevitabilmente consolidandosi, ne irrigidirebbe la potenza culturale e storica.

Dei pregi e degli eventuali limiti dei lavori di Shipton, Gioia e Zenni si è già lungamente discusso all’uscita dei rispettivi libri, ma credo valga la pena tornare brevemente sul lavoro di Sessa, che viene a trovarsi, dal punto di vista delle tempistiche editoriali, in una curiosa posizione apparentemente scomoda, ma forse vantaggiosa sotto alcuni aspetti.

Se infatti da un lato potrebbe sembrare a una lettura superficiale delle dinamiche che il critico milanese giunga con un leggero "ritardo" sul mercato, quando alla festa è rimasta solo una fetta di torta e le bibite sono ormai calde, la natura stessa della sua riflessione e del suo progetto consentono invece di considerare Improvviso singolare – Un secolo di jazz come un complemento assai prezioso al dibattito generale sulla storia del jazz.

Contribuisce a questo certamente la genesi del lavoro, che nasce "sul campo", proprio dai corsi tenuti da Sessa al Conservatorio di Trieste prima e di Cuneo poi, dalle esigenze stesse degli studenti, dalla necessità di ancorare l’impianto storico e teorico alla forza degli esempi.

Contribuisce il fatto che, potendo dipanare la propria riflessione su "tempi lunghi" (ci ricordava lo stesso autore, nell’intervista al "Giornale della Musica", come al primo libro uscito qualche anno fa sui "contemporanei" e a questa "storia" stia per seguire un terzo volume in cui il secolo di jazz verrà affrontato dal punto di vista della reinvenzione dell’essenza degli strumenti simbolo di questa musica), Sessa ha l’opportunità, come un fotografo che si può permettere lunghe esposizioni per cogliere profondità anche con poca luce, di rendere in modo incisivo la necessaria "mobilità" di cui il lettore si deve dotare se vuole davvero immergersi nella ricchezza di segni e significati di queste vicende.

Ecco quindi che, come nel volume sui contemporanei, la narrazione di Sessa, chiara nell’esposizione quanto efficace, è continuamente trapuntata dai riferimenti musicali, suscitando in chi legge una istintiva voglia di andare a verificare subito quanto si legge (e quasi sempre lo si fa facilmente con YouTube, se non si possiede il disco di cui si parla).

(ah, che lontani i tempi – ma non sono passati nemmeno vent’anni – in cui il lavoro di Marcello Piras per Editori Riuniti era accompagnato da un, se non ricordo male laboriosissimo, cd-rom!)

Il corso serrato delle vicende e l’evoluzione lessicale che scorre nelle pagine del libro di Sessa non impedisce all’autore di far vivere il momento artistico all’interno di un più ampio e articolato contesto storico, sociale e culturale ed è proprio la sintesi (ma potremmo definirlo anche dialogo) tra la praticità dell’esemplificazione e la più ampia cornice degli eventi a costituire un grande pregio del libro, forse un pregio che proprio gli studenti stessi (tradizionalmente "in corsa", spesso con poco tempo da dedicare alla riflessione storico/teorica se studiano uno strumento, generazionalmente vogliosi di "soluzioni" leggibili) potrebbero apprezzare molto.

Avendo un po’ di tempo e un po’ di denaro (i quattro libri citati, anzi i cinque se ci vogliamo mettere dentro pure I contemporanei, costano tutti assieme quasi 150 euro), oggi l’appassionato, lo studioso, lo studente, anche il semplice curioso, possono costruirsi un ottimo quadro di base per comprendere, senza cadere nei cliché e nei luoghi comuni che continuano a affliggere i discorsi sul jazz (specialmente in un paese in cui – per i media generalisti – il più accreditato a parlarne continua inspiegabilmente a essere Renzo Arbore!), come mai queste musiche e i loro protagonisti siano sempre così forti e significative per la nostra contemporaneità.

Ovviamente… to be continued…

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