Babel Med 2014 | Smarrimenti e paradossi

Il racconto della decima edizione della fiera marsigliese

Recensione
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«Forse avremmo dovuto prendere l’audioguida». Il pensiero è quasi immediato visitando gli spazi del nuovissimo MuCEM – il Museo delle Civiltà dell’Europa e del Mediterraneo – di Marsiglia. Il meraviglioso parallelepipedo traforato progettato dall’architetto Rudy Ricciotti per Marsiglia Capitale della Cultura 2013 è ben piantato davanti al Vieux Port, collegato da passerelle ai bastioni, anch’essi trasformati in museo. Spazi meravigliosi, per mostre temporanee e collezioni permanenti. Con l’impressione, almeno per alcune sale, di un grande affastellamento di idee fra cui è difficile orientarsi: macine, mappe, busti di rivoluzionari, un pezzo del muro di Berlino, pinguini, mappamondi, modellini di barche e molto molto altro si susseguono senza soluzione di continuità.

Babel Med non è un museo, e il senso di smarrimento è più facilmente tollerato, quando non ricercato direttamente. Celebrazione del Mediterraneo – più come “concetto” che come spazio geografico reale -, la fiera (giunta alla sua decima edizione) è perfettamente calata nel contesto marsigliese, di cui occupa gli splendidi spazi dei Docks des Suds, in un quartiere ex portuale che in questi anni di frequentazioni i visitatori hanno visto cambiare radicalmente. Babel Med è perfettamente e pienamente marsigliese, eppure è uno splendido paradosso in una città complessa come Marsiglia, fresca di (ennesima) affermazione delle destre alle elezioni comunali.

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Ad ogni modo, paradossi e smarrimento sono componenti inevitabile di quella che chiamiamo world music: in fiera si incontrano musiciste di origine sino-francese cresciute nell’Oceano Indiano, cantanti africane prodotte da giapponesi cresciuti in Francia, rapper libici dal perfetto accento british… Quando si viene alla musica, o si accetta - criticamente, come è necessario – queste sensazioni come parte del genere, o difficilmente ci si potrà godere l’esperienza: le cose più notevoli sono spesso le più scombinate.

La serata del giovedì si apre, comunue, con alcune proposte più “tradizionali”: già sentita – ma di classe sopraffina – la musica del libanese Rabih Abou-Khalil e del suo oud, da anni portavoce di un etno-jazz “mediterraneo” (qualunque cosa questa etichetta possa significare). Dall’Azerbaijan, e ben radicata nella tradizione d’arte del mugham, è l’ensemble di Fargana Qasimova, figlia del grande maestro Alim Qasimov.
Si ha appena il tempo di un pastis, e subito si è catapultati nell’universo – davvero lontano anni luce dalla ieraticità acustica della Qasimova - di Jupiter e i dei suoi Okwess International, da Kinshasa. La loro è una musica urbana che raccoglie ritmiche e idee dalla rumba congolese (ma anche dall’afro-beat, dal funk e da altre musiche “nere”), e che si ritaglia un suo spazio di grande originalità rispetto ad altre cose già sentite alzando l’intensità della pulsazione ritmica e il volume degli amplificatori verso il rock. Macchina per far ballare, e grande carisma del leader: una delle migliori cose sentite a Marsiglia.
La punta della serata è però rappresentata dagli Sväng, quartetto finlandese di armoniche noto da tempo: ad di là della componente “pittoresca” di un ensemble di armonicisti (con tanto di incredibile armonica-basso), la musica che propongono è di incredibile ricchezza. Comprende componenti finlandesi (compreso naturalmente il tango, una costante delle produzioni musicali di quel Paese), balcaniche, un groove trascinante, il blues, marce nuziali, musica classica…

La seconda serata si apre con la splendida voce della portoghese Lula Pena. Accompagnata dalla sua sola chitarra, la cantautrice ammutolisce la sala Cabaret. C’è qualcosa di profondamente portoghese nella sua musica (il fado o il neo-fado? Anche, ma più come idea di sottofondo, umore, che non come riferimento diretto), ma si tratta – a ben sentire – di una proposta “d’autore” di grande qualità, con rimandi cosmopoliti.
La scaletta offre poi, in sequenza, due proposte bretoni, entrambe nel roster dell’etichetta Innacor: da una parte, il quartetto del grande maestro Jacky Molard: il violino del leader è affiancato da sax, organetto e contrabbasso. La musica è un folk con attitudine molto progressive, fatta di incastri e spericolati riff all’unisono, con occasionali aperture improvvisative più destrutturate, di sapore jazz. L’uso occasionale degli effetti sul violino colloca il suono in un ambito vintage, un po’ anni prog anni Settanta: si balla e si ascolta. Il più giovane Krismenn, invece, fa incontrare la tradizione del Kan Ha Diskan – il canto a cappella bretone – e più in generale la lingua bretone con il rap: campionando in solitaria dal vivo contrabbasso e slide guitar, Krismenn costruisce pezzo dopo pezzo ballate, canzoni, parti improvvisate o rappate: un progetto di grande originalità, in cui il complesso delle musiche tradizionali bretoni (compresa la ricca tradizione di folk revival) non è pretesto ma testo di partenza, con cui dialogare e scontrarsi. Anche letteralmente, come quando il musicista si inventa una poetry slam con la registrazione d’archivio di un vecchio cantore… Un lavoro che viene portato alle estreme conseguenze (non senza una punta di ironia) nella seconda parte dello showcase, in cui Krismenn divide il palco con un beatboxer, e alla lingua bretone si accostano ritmi dubstep, breakbeat, e oltre…

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Più intrigante sulla carta che non dal vivo invece lo showcase di Arash Khalatbari, già uno dei fondatori degli Ekova, gruppo chiave del pop-world dei tardi anni Novanta. Percussionista e fiatista, nato a Teheran ma residente alla Réunion, Khalatbari tende forse a semplificare troppo l’interazione fra strumenti “etnici” ed elettronica che è la cifra del suo progetto solista, appiattendo quest’ultima, per lunghi tratti, su pulsazioni techno abbastanza usuali.
Segue il monumentale live di Bassekou Kouyate, fra i più attesi di Babel Med 2014: il suo gruppo Ngoni Ba corrisponde oggi alla sua famiglia – con moglie, figli e nipoti a percussioni e varie misure di ngoni. Il patriarca lascia ampio spazio alla sua prole musicale, ma spicca nei soli e sa imporre il suo stile unico, arricchito da wah wah e da un suono più “acido” di un tempo. C’è anche spazio, in un lungo solo, per la citazione della “Lambada”. Che da Bassekou Kouyate non ci saremmo mai aspettati.

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La chiusura della serata, per i resistenti che ancora hanno gambe per ballare, è con i Dengue Dengue Dengue!, dj peruviani che mostrano come le scene urbane latinoamericane siano una fucina di talenti, capaci di portare il dancefloor oltre i cliché degli stili codificati dell’elettronica cui siamo abitati: base di partenza sono generi come cumbia, o chicha, il cui sound psichedelico è calato in un paesaggio di groove elettronici sintonizzati con quanto si ascolta – e si balla - in Europa. Si attende con ansia di trovare sempre di più questo genere di progetti nei festival di elettronica europei, e non solo in quelli di world music.

Il sabato, sulla carta serata meno intrigante, chiude con almeno una sorpresa: Gargar, quartetto femminile dal nordest del Kenia, vicino alla Somalia, alla prima uscita fuori dall’Africa. La produzione ha aggiunto al canto a cappella delle quattro donne un energico quartetto chitarra-basso-batteria-tastiere, dal sapore ethio-vintage. Ne esce una musica danzereccia, evidentemente posticcia, totalmente scombinata, ma irresistibile.

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Già sentiti, invece, i Che Sudaka – collettivo di Barcellona che continua a riproporre quella patchanka-rumba-ska da barrio che andava forte nei Novanta, e che non si risparmia alcun cliché. E così il balkan-rap macedoni Shutka Roma Rap.
Interessante, ma visti i valori in campo ci si aspettava di più, l’incontro fra le voci maschili di Lo Còr de la Plana – istituzione marsigliese – e quelle femminili delle campane Assurd (con l’aggiunta di Enza Pagliara), a nome Ve Zou Via. La celebrazione del matrimonio Marsiglia-Napoli ha alcuni bei momenti (un ironico canto contro i politici locali; un paio di brani a cappella) ma, complici alcuni problemi di audio, prevale una sensazione di incompiutezza.
Marsiglia è protagonista anche a margine del concerto di Ruben Paz e Cheverefusion, con il featuring di Papet J (già Massilia Sound System) che mescola le carte di un sound afro-cubano altrimenti non particolarmente originale.

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