Spettri di Lindo
Gli ex-CSI (ma senza Ferretti) in tour: sulle reunion e la nostalgia
Recensione
pop
Non ho mai amato le reunion e i tour celebrativi: non tanto per snobismo (siamo nell’era della retromania e ce lo ripetiamo allo sfinimento) o per progressismo a tutti i costi: i ricordi musicali sono cose personalissime, ed è giusto che ciascuno se li solletichi come meglio crede. Per quanto mi riguarda – soprattutto quando si tratta di gruppi che ho amato dai dischi senza poterli vedere dal vivo per motivi (soprattutto) anagrafici – non amo compromettere ricordi già a loro modo chiusi e archiviati, aggiungere significati nuovi a cose che del mio passato di ascoltatore. Quando l'ho fatto, mi sono rovinato un sacco di dischi.
Altri me li sono rovinati quando ho conosciuto personalmente i musicisti, ma questo è un altro discorso.
Ma dal momento che il mio animo di appassionato di musica è diviso fra il freddo distacco professionale e i detti ricordi di un momento più leggero della mia vita, in cui ascoltavo musica per il gusto di farlo, anche io non so resistere alle tentazioni, e ogni tanto decido di prendermi qualche rischio.
Capita così che in una delle sale da concerti che preferisco, la Maison Musique di Rivoli, suoni uno dei gruppi che più ho amato. Oddio, non esattamente il gruppo che ho amato: i CSI - la cui storia è finita con lo scorso millennio - erano composti, oltre che da Massimo Zamboni, Giorgio Canali, Gianni Maroccolo e Francesco Magnelli, anche da Ginevra Di Marco e – soprattutto – da Giovanni Lindo Ferretti, voce e frontman-vate della band.
I quattro revivalisti del Consorzio – che hanno avuto intanto carriere importanti da musicisti e produttori – hanno ripreso a suonare insieme in maniera lenta, senza aspettarselo e senza grandi aspettative. Esattamente come si ricomincia a frequentare un vecchio amico da cui ci si era distaccati per motivi più o meno seri. E così va letto questo breve tour: la voglia di risuonare un po’ di vecchi brani, di ricordare, di sfogliare l’album dei suoni di famiglia, di rifrequentarsi musicalmente. Probabilmente la cosa si chiuderà qui, ed è un bene credo: non perché suonino male (al contrario!), ma perché i cicli si chiudono, e un conto è ricordare, un conto è provare a riaprirli (se ne è parlato anche in questa intervista a Massimo Zamboni.
Si diceva dell’assenza di Giovanni Lindo Ferretti, ex-CCCP, ex-CSI, ex-Fedele alla linea convertitosi ad altre ambizioni di vita e ad altri orizzonti politici. Assente, ma non mancante: la “voce” di questi "ex-CSI" è quella di Angela Baraldi, spesso in questi anni al fianco di Zamboni in progetti nuovi, giustamente applauditissima dal pubblico rivolese. Una voce e una presenza, le sue, molto distanti da quelle di Ferretti, e che quindi portano l’attenzione sulla canzone in sé, non solo sulla misurazione delle differenze dall’originale. Non come “reunion”, dunque, ma come “tributo” al repertorio – e, da parte dei musicisti, a loro stessi - il concerto funziona perfettamente.
Rimane però il fattore Ferretti. Non mancante, si è detto, ma nel contempo non rimuovibile. E non si tratta solo di un dato emotivo, ma della constatazione che i pezzi dei CSI e dei CCCP prima - alcuni affiorano anche in scaletta: “Maciste contro tutti”, “Annarella”, addirittura “Emilia paranoica” - erano Ferretti, almeno per il pubblico. Erano la sua voce salmodiante, e su quella voce erano costruiti e pensati. E grazie a quella voce, soprattutto, hanno incarnato il rock italiano per due decenni diversi come gli Ottanta e i Novanta, senza soluzione di continuità, nella metamorfosi ferrettiana da «muezzin punk» a «cantautore filosofo» avvenuta nei pressi del salto di decade, come scriveva Alberto Campo in un libro di qualche anno fa.
La voce e la figura di Ferretti stanno insomma sul sottile crinale di una storia emotiva della musica in Italia, e né con la Storia, né con le emozioni, si può venire a patti più di tanto. Erano il qui ed ora del rock italiano, molto più del basso distorto di Maroccolo e delle chitarre "melodiose" e "disturbate" di Zamboni e Canali, sebbene da essi non fossero, e non siano, comunque separabili.
Nessuna nostalgia, quindi, e per nessuno: lo spirito del tempo non è recuperabile se non come eco lontana, come ri-creazione, come rispecchiamento distorto. I CSI sono quelli sui dischi. I brani, quelli sì, rimangono, e che li canti Ferretti o qualcuno per lui, oggi, nulla aggiunge, e nulla toglie.
Molto meglio così: una bella serata, un bel concerto, e nessun ricordo rovinato.
Altri me li sono rovinati quando ho conosciuto personalmente i musicisti, ma questo è un altro discorso.
Ma dal momento che il mio animo di appassionato di musica è diviso fra il freddo distacco professionale e i detti ricordi di un momento più leggero della mia vita, in cui ascoltavo musica per il gusto di farlo, anche io non so resistere alle tentazioni, e ogni tanto decido di prendermi qualche rischio.
Capita così che in una delle sale da concerti che preferisco, la Maison Musique di Rivoli, suoni uno dei gruppi che più ho amato. Oddio, non esattamente il gruppo che ho amato: i CSI - la cui storia è finita con lo scorso millennio - erano composti, oltre che da Massimo Zamboni, Giorgio Canali, Gianni Maroccolo e Francesco Magnelli, anche da Ginevra Di Marco e – soprattutto – da Giovanni Lindo Ferretti, voce e frontman-vate della band.
I quattro revivalisti del Consorzio – che hanno avuto intanto carriere importanti da musicisti e produttori – hanno ripreso a suonare insieme in maniera lenta, senza aspettarselo e senza grandi aspettative. Esattamente come si ricomincia a frequentare un vecchio amico da cui ci si era distaccati per motivi più o meno seri. E così va letto questo breve tour: la voglia di risuonare un po’ di vecchi brani, di ricordare, di sfogliare l’album dei suoni di famiglia, di rifrequentarsi musicalmente. Probabilmente la cosa si chiuderà qui, ed è un bene credo: non perché suonino male (al contrario!), ma perché i cicli si chiudono, e un conto è ricordare, un conto è provare a riaprirli (se ne è parlato anche in questa intervista a Massimo Zamboni.
Si diceva dell’assenza di Giovanni Lindo Ferretti, ex-CCCP, ex-CSI, ex-Fedele alla linea convertitosi ad altre ambizioni di vita e ad altri orizzonti politici. Assente, ma non mancante: la “voce” di questi "ex-CSI" è quella di Angela Baraldi, spesso in questi anni al fianco di Zamboni in progetti nuovi, giustamente applauditissima dal pubblico rivolese. Una voce e una presenza, le sue, molto distanti da quelle di Ferretti, e che quindi portano l’attenzione sulla canzone in sé, non solo sulla misurazione delle differenze dall’originale. Non come “reunion”, dunque, ma come “tributo” al repertorio – e, da parte dei musicisti, a loro stessi - il concerto funziona perfettamente.
Rimane però il fattore Ferretti. Non mancante, si è detto, ma nel contempo non rimuovibile. E non si tratta solo di un dato emotivo, ma della constatazione che i pezzi dei CSI e dei CCCP prima - alcuni affiorano anche in scaletta: “Maciste contro tutti”, “Annarella”, addirittura “Emilia paranoica” - erano Ferretti, almeno per il pubblico. Erano la sua voce salmodiante, e su quella voce erano costruiti e pensati. E grazie a quella voce, soprattutto, hanno incarnato il rock italiano per due decenni diversi come gli Ottanta e i Novanta, senza soluzione di continuità, nella metamorfosi ferrettiana da «muezzin punk» a «cantautore filosofo» avvenuta nei pressi del salto di decade, come scriveva Alberto Campo in un libro di qualche anno fa.
La voce e la figura di Ferretti stanno insomma sul sottile crinale di una storia emotiva della musica in Italia, e né con la Storia, né con le emozioni, si può venire a patti più di tanto. Erano il qui ed ora del rock italiano, molto più del basso distorto di Maroccolo e delle chitarre "melodiose" e "disturbate" di Zamboni e Canali, sebbene da essi non fossero, e non siano, comunque separabili.
Nessuna nostalgia, quindi, e per nessuno: lo spirito del tempo non è recuperabile se non come eco lontana, come ri-creazione, come rispecchiamento distorto. I CSI sono quelli sui dischi. I brani, quelli sì, rimangono, e che li canti Ferretti o qualcuno per lui, oggi, nulla aggiunge, e nulla toglie.
Molto meglio così: una bella serata, un bel concerto, e nessun ricordo rovinato.
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