MITO: Cantautori, rock e monumenti

Dente, Appino e Nada al Teatro Colosseo

Recensione
pop
Se nella crisi sono le categorie più deboli ad essere colpite per prime, a volte anche la musica funziona così: persino MITO, il colosso italiano dei festival, ha dovuto ripiegare e arroccarsi nella classica, sua musica d’elezione sin dall’inizio. Il programma “altro” – di cui tocca occuparsi - rimane così di medio interesse, fra grandi eventi evitabilissimi (la logica dei “grandi eventi pop” di MITO è sempre stata misteriosa) e piccoli tesori nascosti. Ma – per fortuna – c’è vita oltre Venditti, e il programma torinese offre una bella serata, organizzata con Spazio 211, dedicata alla canzone d’autore nelle declinazioni più recenti del termine: Dente, Appino e Nada.

Tocca a Dente rompere il ghiaccio di fronte ad un teatro Colosseo affollato. La sua proposta è ormai nota, le canzoni anche: per il cantautore di Fidenza si è fatto spesso il nome di Battisti, anche per certi vezzi di arrangiamento e un omaggio al capolavoro Anima latina inserito in un disco di qualche anno fa. In versione chitarra e voce, il debito più evidente è quello della cantabilità, e di una vocalità spinta ma delicata, nel registro acuto. Nessuna necrofilia e nessun gusto retrò, ad ogni modo: i testi di Dente affrontano di petto i cliché della canzone italiana (primo fra tutti: la canzone d’amore) e li eludono, li sviano, li reinventano con nuovi significati attraverso scarti inattesi del discorso. Anche la cover proposta – “La casa” di Endrigo – va in questa direzione. Nel significato più classico del termine, uno dei migliori “cantautori” della generazioni dei trentenni.

Segue Appino, al secolo Andrea Appino, leader degli Zen Circus recentemente approdato al suo primo lavoro da “cantautore”, Il testamento, pubblicato dalla Tempesta. La vena solista di Appino, sinceramente, muove qualche perplessità: molto vigore rock (grazie anche ad una band potente), molto volume, molto suono, molto sudore, begli arrangiamenti. Troppa, troppa retorica nei testi e nelle presentazioni, e troppe mossette – però – fanno dubitare dello spessore dell’operazione, che sconfina qui e là nel kitsch. Ma Appino è personaggio così, e si prende o si rifiuta in blocco.

Chiude la serata Nada, che con Appino ha collaborato in diverse occasioni, sapendo negli ultimi anni sintonizzare il suo sound su quanto di meglio proponeva il rock italiano del momento (Zen Circus compresi; a Torino la accompagnano i Criminal Jockers, che garantiscono un bel pieno di chitarre). Nada è un vivo monumento della musica italiana, autrice di alcuni degli album più belli usciti in Italia in tempi recenti. Chi la scoprisse oggi potrebbe facilmente pensarla come una Patti Smith alla livornese, per alcune pose, per la voce e il modo di cantare, per un certo tipo di femminilità espressa. Ma è proprio la sua storia anomala, che rende quasi impossibile catalogarla attraverso le maglie della canzone d’autore, a renderla unica ed eccezionale. Nella Nada di oggi tutto convive, il torrenziale sfogo di “Le mie madri” e il vintage-kitsch color Sassofono blu di “Amore disperato”, che compare in scaletta, accostata all’altro classico “Ma che freddo fa”; anno 1969, lei aveva 15 anni…

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