Saalfelden 1 | Clima austriaco

Il ritorno di Marc Ducret, e la prima giornata del festival

Recensione
jazz
Giunto alla sua trentaquattresima edizione, il festival di Saalfelden non accenna a perdere il consolidato fascino di appuntamento in grado di coniugare qualità e coraggio curatoriali, attenzione promozionale e turistica e buone pratiche culturali - un po’ quello che manca alla maggior parte dei festival italiani, anche quelli più blasonati.

Certo, i soldi che vengono messi a disposizioni qui in Austria sono un miraggio per le nostre sgangherate amministrazioni locali, ma qualche direttore artistico italiano dovrebbe comunque farsi un giretto da queste parti, per accorgersi che puoi chiamare pubblico, critica, operatori anche senza ricorrere al nome pop di turno o a progetti che fanno della rassicurazione il proprio manifesto artistico.

Non ci si mette pochissimo dall’Italia, per raggiungere questo bel paese nelle alpi austriache (con i suoi repentini cambi di tempo e temperatura), ma ne vale la pena. Si scaldano i motori con i concerti della sezione "Short Cuts", dove troviamo anche due validi musicisti di casa nostra come il baritonista Beppe Scardino e il chitarrista Francesco Diodati. Sono parte del trio Plutino del batterista Bobby Previte, una formazione dai sapori rock e noir molto accentuati, piuttosto convincente e coesa.

Grammatiche "avant" già consolidate sono quelle su cui muovono il proprio linguaggio improvvisativo Tony Malaby (sax tenore) e Tom Rainey (batteria), ma è la qualità del singolo a fare la differenza: la loro musica sgorga sempre credibile e necessaria, giocata benissimo tra momenti lirici e accensioni quasi ayleriane che si cristallizzano in deliziose strutture danzanti. Il pubblico apprezza molto, e stupisce un po’ come una parte di esso invece rifiuti con una certa platealità (andandosene o commentando a alta voce) grammatiche altrettanto consolidate come quelle del duetto tra Keiji Haino e il trombettista Franz Hautzinger. Certo, Haino è musicista che va preso in blocco, o si ama o si odia, ma non si può negargli coerenza e incisività anche quando urla e si contorce in spasmi (tra teatro d’avanguardia, noise e metal: sono cose ormai storicizzate, eh) sugli sbuffi pneumatici del collega.

Sul main stage si parte con il progetto un po’ debole del pianista austriaco David Helbock (nonostante la presenza di Malaby, Christian Lillinger e Marcus Rojas), ma non si deve attendere troppo per il primo grande colpo del festival, con la formazione allargata del chitarrista Marc Ducret, frutto della fusione dei suoi ultimi progetti Tower. Una musica turgida e ben architettata, con tre tromboni, sax basso, sax alto, due batterie, percussioni, pianoforte, violino e batteria (Tim Berne, ancora Rainey e Dominique Pifarely tra loro), zappiana e ritmicamente articolata, potentissima e degna di comparire in qualche festival di musica contemporanea per la forza delle sue traiettorie.

Su coordinate decisamente più consuete – un jazz moderno dalla precisa articolazione formale – si muove invece il quintetto del contrabbassista Scott Colley, con uno scultoreo (dal punto di vista sonoro) Ralph Alessi alla tromba e l’impasto di piano e chitarra, una di quelle proposte di grande livello qualitativo, ma che nella febbrile eccitazione di Saalfelden per progettualità meno convenzionali, rischia un po’ di passare in secondo piano.

Fuori dal palazzo dei congressi intanto vibra un grande coinvolgimento del tessuto cittadino: stand gastronomici, bancarelle (prese d’assalto quelle di cd, ormai con una patina quasi vintage), un maxischermo che consente a chi passa per la strada di vedere i concerti – e magari incuriosirsi – sono parte integrante del festival austriaco, ed è tutto un brulichio di gente che va e viene. La prima giornata si chiude, a notte fonda come di consueto, con il quartetto Omaha Diner: divertentissimo, energetico, un po’ tamarro, questo gruppo vede impegnati Steven Bernstein alla tromba, Skerik al sax tenore, Charlie Hunter alla chitarra e Bobby Previte alla batteria. Obiettivo, dettato dalle richieste di chi ha appoggiato il progetto tramite Kickstarter: rileggere i brani pop numero uno in classifica degli ultimi trent’anni. Nel giocoso tritacarne passano quindi Guns & Roses e Eminem, Lily Allen e Terence Trent d’Arby, in un funambolico sovrapporsi di piani espressivi, dal virtuosismo all’ironico, che rende il tutto non solo molto godibile, ma anche molto più centrato di tanti altri progetti dall’analogo oggetto. Bernstein scherza con il pubblico, lui e Previte sembrano quasi rimbalzarsi la "responsabilità" di tutto questo, è palpabile un’energia smagliante che ci portiamo dietro anche usciti dal concerto, quando la notte fonda e piuttosto freddina delle alpi austriache decide di dare riposo a una piacevole stanchezza. A domani.

Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche

jazz

Pat Metheny è sempre lui: lo abbiamo ascoltato dal vivo a Madrid

jazz

A ParmaJazz Frontiere il rodato duo fra il sax Evan Parker e l'elettronica di Walter Prati

jazz

Il Bobo Stenson Trio ha inaugurato con successo la XXIX edizione del festival ParmaJazz Frontiere