Umbria Jazz 1 | 40 anni con Garbarek

Il sassofonista sostituisce sul palco dell'Arena Sonny Rollins

Recensione
jazz
La formazione, il repertorio, la location, il botteghino. Non bastano questi ingredienti per far funzionare un concerto. I musicisti lo sanno bene e hanno la certezza del successo solo quando vedono il pubblico attento, entusiasta, per poi mostrare il proprio apprezzamento più volte a scena aperta, con applausi scroscianti, senza disturbare la performance. Allora non ci sono dubbi: così Jan Garbarek e il suo gruppo hanno domato il main stage di Umbria Jazz, l’Arena del Santa Giuliana.

Doveva essere la serata di Sonny Rollins, il cui forfait per motivi di salute ha costretto l’organizzazione a trovare una soluzione, spostando il concerto di Garbarek dal teatro Morlacchi all’Arena. E la scelta si è rivelata vincente anche per altri fattori favorevoli: quella del 6 luglio è stata una notte con tutti gli ingredienti ottimali per un live di questo calibro. Il primo sabato del festival, quello più affollato, un cielo stellato in cui s’intravedevano chiare e limpide Vega e Arturo, un venticello fresco che ha accompagnato per due ore esatte l’intero concerto e un intreccio di linguaggi musicali che hanno inchiodato il pubblico, assorto in un vero e proprio stato di concentrazione mistica.

Una performance, quella di ieri sera, che può essere considerata come il primo bel regalo di compleanno per questi primi 40 anni di Umbria Jazz. Ad accompagnare il sassofonista c’erano alle tastiere Rainer Bruninghaus, al basso Yuri Daniel e alle percussioni Trilok Gurtu, un’aggiunta di pregio di un artista che ha portato nel jazz i ritmi e le sonorità del suo grande paese, l’India. Pur mantenendo il suo tipico suono maestoso ed espressivo, Garbarek ha esibito la sua inconfondibile forza armonica impregnata di folk scandinavo grazie anche alla presenza del percussionista, che ha impartito nuovi ritmi alle sue composizioni, impiegando anche le infinite possibilità di variazioni del raga indiano, che solo un abile esecutore come Gurtu è in grado di protrarre all’infinito.

Il gruppo ha ripercorso una parte del vasto repertorio storico di Garbarek, rileggendola in versioni sempre nuove e sperimentali a partire, tra l’altro, dai suoi ultimi lavori come Dresden e Officium. Nella seconda parte del concerto - dopo circa un’ora - Garbarek ha lasciato il sax soprano ed è passato al tenore, dialogando con gli altri musicisti, ormai aperti alla conoscenza di tutte le forme espressive, compresi il pop, il funk, fino alla world music. Si è raggiunta una perfetta sintesi dei generi, nonostante appaiano così lontani dalla tradizione norvegese e dalla musica jazz colta di cui Garbarek è stato per molti anni un punto di riferimento. E tra il pubblico a fine concerto non sono mancati commenti per cui qualcuno si aspettava da Garbarek assoli più lunghi e più in linea con il suo free style, anche se è stata apprezzata la scelta di dare maggiore spazio alla formazione, senza snaturare la sua sonorità. Come per esempio nel valorizzare le sperimentazioni ritmiche di Trilok Gurtu, le evoluzioni del tastierista Rainer Bruninghaus, al suo fianco sin dal 1988, fino alle improvvisazioni del bassista brasiliano Yuri Daniel, da molti paragonato a Jaco Pastorius.

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