Primavera Sound 1 | Canticchiare l'avanguardia
Primo tour de force dal "best festival ever" di Barcellona
Recensione
pop
Ecco a voi il Primavera Festival, dove gli appassionati di suoni indie - rock ma anche elettronica - mettono alla prova ogni anno la loro tenuta fisica e psicologica di fronte a tanto ben di Dio. Promosso come "best festival ever" dopo un paio d'anni in cui la programmazione, per ovvie contingenze economiche, pareva aver intrapreso una china discendente, il Primavera festival è ormai l'unico appuntamento di queste dimensioni nell'area del sud Europa. Il che significa l'unico in cui gli italiani (terzi per presenze, dopo spagnoli e francese) possono andare senza investire l'oro di famiglia: in fondo, Barcellona offre diverse possibilità per alloggiare, e l'abbonamento - se comprato per tempo - non è certo proibitivo - soprattutto in rapporto alla quantità che offre.
Si diceva, la tenuta fisica: l'anno scorso, arrivati a tarda notte, si invocava qualcosa di psichedelico, di riflessivo, da ascoltare - meglio se sdraiato su un prato - prima di andare a casa. Invece, dopo le due di notte, l'offerta spaziava inesorabilmente tra la techno e la techno minimal; cose per cui bisogna avere la voglia, e - soprattutto - il fisico.
Per questo, la collocazione alle 3.10 del mattino degli Animal Collective - che sulla carta poteva sembrare impegnativa - si è rivelata qualcosa da ricordare: niente prato, purtroppo (fa troppo freddo, questi giorni a Barcellona, e stare in mezzo alla folla scalda). Ma un ascolto concentrato - concentratissimo, come quello che richiede la band americana - quasi alle soglie del sonno, dopo tutto il giorno in giro, si tramuta in un'esperienza quasi lisergica. La musica del collettivo da Baltimora (ma basato a New York, e il cui suono non potrebbe essere più newyorkese) è veramente fra le cose più complesse sia dato oggi ascoltare in ambito pop. E se l'impressione di una certa matematicità e freddezza, ben evidente su disco, non si dissipa del tutto neanche dal vivo, il set degli Animali va ben oltre l'imitazione dei suoni dello studio di registrazione, con interazione totalmente live fra effettistica elettronica, chitarre e batteria: i quattro, insomma, suonano veramente.
Meno concentrato, ammetto, lo ero per i Grizzly Bear - l'"altra" band di Brooklyn del giorno: se c'è un limite in questi due gruppi - a diritto (soprattutto i primi) nell'avanguardia del pop mondiale - è forse la mancanza di canzoni veramente memorabili. Qualcosa che - come fu per i Radiohead illo tempore - emerga nettamente e galleggi dal fluido di idee che si inseguono e si mischiano, e si faccia ricordare... Ma questo è un pensiero da sei del mattino, in coda per la navetta per il centro, quando la memoria - si sa - fa brutti scherzi, e uno canticchia un po' qualunque cosa, compresi i Phoenix....
Sono partito dalla fine: tutto era cominciato alle 17.40 con El Inquilino Comunista - icona del noise-pop locale, e si era protratto per le successive 12 ore fra palchi sempre lontanissimi fra loro, diverse birre e un breve saluto alla stampa italiana da parte degli organizzatori e dell'ufficio stampa per l'Italia. Gli amici di Sfera Cubica/A Buzz Supreme presentano anche alcune band - due erano l'anno scorso, tre quest'anno: Foxhound, honeybird and the birdies e Blue Willa: l'art-rock sghembo di questi ultimi è il primo momento da annotare sul taccuino (un taccuino virtuale, naturalmente), con il piccolo - ma splendido, davanti al mare - palco Adidas che attira operatori e curiosi. Ci sarebbe da fermarsi fino alla fine - meriterebbe - ma ci sono così tante altre cose: i Dinosaur Jr., i redivivi Postal Service, Bob Mould, i barocchissimi Phoenix (che si canticchiano volentieri, ma non si va molto oltre), i Tame Impala: questi ultimi - forse - la sorpresa della giornata. Associati comunemente e in maniera un po' sbrigativa con una sorta di neo-psichedelia (che in effetti frequentano con generosità), dal vivo più che su disco spaziano spesso verso un sound vintage kitsch, quasi anni Ottanta, soprattutto quando passano alla formazione con due tastiere (un synth e un moog). Non valgono gli Animal Collective, ma qualche canzone si fatica a scordare, e si lascia canticchiare volentieri.
Si diceva, la tenuta fisica: l'anno scorso, arrivati a tarda notte, si invocava qualcosa di psichedelico, di riflessivo, da ascoltare - meglio se sdraiato su un prato - prima di andare a casa. Invece, dopo le due di notte, l'offerta spaziava inesorabilmente tra la techno e la techno minimal; cose per cui bisogna avere la voglia, e - soprattutto - il fisico.
Per questo, la collocazione alle 3.10 del mattino degli Animal Collective - che sulla carta poteva sembrare impegnativa - si è rivelata qualcosa da ricordare: niente prato, purtroppo (fa troppo freddo, questi giorni a Barcellona, e stare in mezzo alla folla scalda). Ma un ascolto concentrato - concentratissimo, come quello che richiede la band americana - quasi alle soglie del sonno, dopo tutto il giorno in giro, si tramuta in un'esperienza quasi lisergica. La musica del collettivo da Baltimora (ma basato a New York, e il cui suono non potrebbe essere più newyorkese) è veramente fra le cose più complesse sia dato oggi ascoltare in ambito pop. E se l'impressione di una certa matematicità e freddezza, ben evidente su disco, non si dissipa del tutto neanche dal vivo, il set degli Animali va ben oltre l'imitazione dei suoni dello studio di registrazione, con interazione totalmente live fra effettistica elettronica, chitarre e batteria: i quattro, insomma, suonano veramente.
Meno concentrato, ammetto, lo ero per i Grizzly Bear - l'"altra" band di Brooklyn del giorno: se c'è un limite in questi due gruppi - a diritto (soprattutto i primi) nell'avanguardia del pop mondiale - è forse la mancanza di canzoni veramente memorabili. Qualcosa che - come fu per i Radiohead illo tempore - emerga nettamente e galleggi dal fluido di idee che si inseguono e si mischiano, e si faccia ricordare... Ma questo è un pensiero da sei del mattino, in coda per la navetta per il centro, quando la memoria - si sa - fa brutti scherzi, e uno canticchia un po' qualunque cosa, compresi i Phoenix....
Sono partito dalla fine: tutto era cominciato alle 17.40 con El Inquilino Comunista - icona del noise-pop locale, e si era protratto per le successive 12 ore fra palchi sempre lontanissimi fra loro, diverse birre e un breve saluto alla stampa italiana da parte degli organizzatori e dell'ufficio stampa per l'Italia. Gli amici di Sfera Cubica/A Buzz Supreme presentano anche alcune band - due erano l'anno scorso, tre quest'anno: Foxhound, honeybird and the birdies e Blue Willa: l'art-rock sghembo di questi ultimi è il primo momento da annotare sul taccuino (un taccuino virtuale, naturalmente), con il piccolo - ma splendido, davanti al mare - palco Adidas che attira operatori e curiosi. Ci sarebbe da fermarsi fino alla fine - meriterebbe - ma ci sono così tante altre cose: i Dinosaur Jr., i redivivi Postal Service, Bob Mould, i barocchissimi Phoenix (che si canticchiano volentieri, ma non si va molto oltre), i Tame Impala: questi ultimi - forse - la sorpresa della giornata. Associati comunemente e in maniera un po' sbrigativa con una sorta di neo-psichedelia (che in effetti frequentano con generosità), dal vivo più che su disco spaziano spesso verso un sound vintage kitsch, quasi anni Ottanta, soprattutto quando passano alla formazione con due tastiere (un synth e un moog). Non valgono gli Animal Collective, ma qualche canzone si fatica a scordare, e si lascia canticchiare volentieri.
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