Butch Morris 1947-2013
La morte del musicista, "inventore" della conduction
Recensione
jazz
Ci sono molti buoni motivi per non dimenticare Butch Morris, che se n’è andato ieri dopo una lotta impari con la malattia.
Alcuni personali (dei quali, sulla scia dell’emozione, rischierò ogni tanto di darvi rapidamente conto), altri più generali.
Quella di Morris è senza dubbio una delle figure più originali della musica afroamericana degli ultimi trent’anni, grazie alla progressiva ricerca e formalizzazione del processo di improvvisazione guidata da gesti che va sotto il nome di conduction.
Al di là degli esiti artistici, legati in processi come questo a naturali aleatorietà, ma spesso di livello altissimo, è stata proprio l’esperienza della conduction a fornire a decine e decine di musicisti in tanti posti del mondo nuove chiavi di approccio alla creazione istantanea.
Non solo jazzisti. Non solo improvvisatori. Lo stesso Butch trovava che essere un grande improvvisatore costituisse talvolta un limite al farsi "guidare" dai suoi gesti e amava molto invece la sfida di lavorare con musicisti di estrazione classica o popolare.
D’altra parte, è anche vero che diversi improvvisatori non "amavano" molto l’esperienza della conduction; qualcuno di loro mi ha confidato di essersi sentito "usato" dal pur creativo gesto di Butch, quasi a conferma della grande forza che un simile percorso porta comunque con sé.
A molti mancava il Morris cornettista, e ogni tanto si sperava di poterlo riascoltare con il suo timbro seducente, ma - alla fine - la sua scelta di dedicarsi solo alla conduction meritava rispetto.
Figura che abbiamo avuto la fortuna di frequentare e apprezzare in molti Festival italiani, da Sant’Anna Arresi a Sant’Arcangelo solo per dirne due, con l’inconfondibile flemma, l’ironico sorriso e l’eleganza dei dettagli dell’abbigliamento, Morris ha forse sofferto di non poter sviluppare in Europa il proprio sistema con tempistiche più continuative, e la riprova è nel fantastico lavoro svolto invece a New York con la Nublu Orchestra, che ha anche portato a uno dei suoi dischi più riusciti.
Molti musicisti, anche delle generazioni più giovani, riprendono oggi elementi della conduction nei propri progetti. Come è giusto, personalizzandoli e facendoli interagire con altre strategie. Probabilmente la conduction pura – come la intendeva Butch – se ne va insieme al suo geniale creatore, e anche se può suonare malinconico è forse giusto così, per la totale aderenza, artistica e umana, tra le due cose. Il mondo della musica perde tantissimo con la morte di Butch Morris, ma a me piace pensare che lui, con un sorriso da dietro gli occhiali o da sotto il cappello, dirigendoci con un gesto delle mani, come è naturale, ci inviti a sfumare la tristezza fino a rimanere in silenzio.
Alcuni personali (dei quali, sulla scia dell’emozione, rischierò ogni tanto di darvi rapidamente conto), altri più generali.
Quella di Morris è senza dubbio una delle figure più originali della musica afroamericana degli ultimi trent’anni, grazie alla progressiva ricerca e formalizzazione del processo di improvvisazione guidata da gesti che va sotto il nome di conduction.
Al di là degli esiti artistici, legati in processi come questo a naturali aleatorietà, ma spesso di livello altissimo, è stata proprio l’esperienza della conduction a fornire a decine e decine di musicisti in tanti posti del mondo nuove chiavi di approccio alla creazione istantanea.
Non solo jazzisti. Non solo improvvisatori. Lo stesso Butch trovava che essere un grande improvvisatore costituisse talvolta un limite al farsi "guidare" dai suoi gesti e amava molto invece la sfida di lavorare con musicisti di estrazione classica o popolare.
D’altra parte, è anche vero che diversi improvvisatori non "amavano" molto l’esperienza della conduction; qualcuno di loro mi ha confidato di essersi sentito "usato" dal pur creativo gesto di Butch, quasi a conferma della grande forza che un simile percorso porta comunque con sé.
A molti mancava il Morris cornettista, e ogni tanto si sperava di poterlo riascoltare con il suo timbro seducente, ma - alla fine - la sua scelta di dedicarsi solo alla conduction meritava rispetto.
Figura che abbiamo avuto la fortuna di frequentare e apprezzare in molti Festival italiani, da Sant’Anna Arresi a Sant’Arcangelo solo per dirne due, con l’inconfondibile flemma, l’ironico sorriso e l’eleganza dei dettagli dell’abbigliamento, Morris ha forse sofferto di non poter sviluppare in Europa il proprio sistema con tempistiche più continuative, e la riprova è nel fantastico lavoro svolto invece a New York con la Nublu Orchestra, che ha anche portato a uno dei suoi dischi più riusciti.
Molti musicisti, anche delle generazioni più giovani, riprendono oggi elementi della conduction nei propri progetti. Come è giusto, personalizzandoli e facendoli interagire con altre strategie. Probabilmente la conduction pura – come la intendeva Butch – se ne va insieme al suo geniale creatore, e anche se può suonare malinconico è forse giusto così, per la totale aderenza, artistica e umana, tra le due cose. Il mondo della musica perde tantissimo con la morte di Butch Morris, ma a me piace pensare che lui, con un sorriso da dietro gli occhiali o da sotto il cappello, dirigendoci con un gesto delle mani, come è naturale, ci inviti a sfumare la tristezza fino a rimanere in silenzio.
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