Sant'Anna Arresi 2 | Director's Cut
Una vetrina per la musica di Kip Hanrahan
Recensione
jazz
Folgorato dagli album d'esordio di Kip Hanrahan usciti nei primi anni Ottanta, e in particolare da Vertical Currency, con la impagabile voce di Jack Bruce, nell'estate dell'85 da Milano mi precipitai a Roccastrada, in provincia di Grosseto, per la prima apparizione italiana di Hanrahan, fra l'altro con la partecipazione appunto dell'ex bassista dei Cream. Invece delle superbe atmosfere di Vertical Currency, quello a cui mi trovai di fronte, in una serata rimasta scolpita nella mia corteccia cerebrale, fu però un autentico bordello: Hanrahan non riusciva a gestire la situazione e a fronteggiare l'insubordinazione della truppa, per non dire del suono che era un disastro. C'era anche Ginger Baker, e nella caciara generale si impose una omerica celebrazione di "Sunshine of Your Love". Hanrahan parla di quella a suo modo memorabile serata come del punto più basso della sua carriera: spero per lui che sia così. Quindici anni dopo, nell'estate del 2000 ero a Verona Jazz, che aveva in programma Deep Rumba. Qui le cose andarono diversamente: Hanrahan aveva convocato una congrega di musicisti di origine cubana e portoricana e la cantante cubana Xiomara Laugart, che però, palesemente, nella splendida cornice del Teatro Romano, non se lo filavano per niente. Hanrahan non riuscì ad indirizzare le cose come voleva, ma in compenso, in un tripudio di percussioni, facendo di testa sua, il gruppo offrì un esempio di musica afrocubana veramente forte: davvero rumba "profonda".
Con queste esperienze alle spalle sono arrivato a Sant'Anna Arresi preparato psicologicamente alla prospettiva di tre diversi progetti di Hanrahan - Conjure, Beautiful Scars e Deep Rumba - che, intrepida e abituata a correre rischi, la rassegna Ai confini tra Sardegna e Jazz ha messo in cartellone, assicurando ad Hanrahan la più ampia vetrina che la sua musica abbia mai avuto in Italia. Dati i precedenti, non mi ha assolutamente turbato, a differenza di altri addetti ai lavori rimasti un po' sconcertati, vedere Hanrahan aggirarsi sul palco durante il set di Conjure e parlare nell'orecchio ai musicisti o impartire indicazioni a gesti, dando abbondantemente anche la sensazione (che probabilmente non è solo una sensazione) di disturbare, non senza goffaggine e un che di maldestro, chi sta suonando, e di intralciare il processo della musica.
In effetti - aiutati anche dalla passione di Hanrahan per il cinema - lo si è sempre paragonato ad un regista: effettivamente, il suo comportamento sul palco fa pensare a quello di un regista che va dall'attore e gli dà delle istruzioni, spiegandogli che cosa vuole da lui in quella certa scena. Solo che il regista nel film non ti fa vedere il proprio lavoro né le scene riuscite male: così i dischi di Hanrahan sono i suoi film come prodotto finito, mentre i live di Hanrahan ti danno assieme il film allo stadio di semilavorato e il making of. Il fatto è che Hanrahan non è un bandleader in senso convenzionale, non ne ha forse nemmeno le competenze necessarie; però ha delle idee, una visione: mutatis mutandis, viene in mente un Giacinto Scelsi. Sul fatto che questa anomalia si traduca poi anche in una modalità di intervento sul palco come quella di cui si è detto si possono poi avanzare tante spiegazioni: probabilmente una buona dose di nevrosi; una sorta di metodo di direzione della spontaneità, che mette nel conto di poter indurre un effetto di precarietà nella musica, di minarne la stabilità, di produrre dei derapage; il gusto del canovaccio modificabile all'impronta; una specie di perfezionismo estemporaneo, anche come inacettazione - forse come riflesso di una personalità insicura - del limite di un risultato definitivo; forse il gusto teatrale ed egocentrico della messa in scena di se stesso; e magari il volersi dare un ruolo per risolvere un complesso di inferiorità nei confronti di musicisti "veri". Tra addetti ai lavori a Sant'Anna Arresi si è discusso parecchio di come interpretare il suo singolare modo di fare: e di quanto questo suo "metodo" rappresenti davvero dal vivo sì un rischio ma anche un valore aggiunto per la musica. In ogni caso, come racconteremo in una seconda puntata su Kip Hanrahan a Sant'Anna Arresi, per molto del girato buona la prima.
Con queste esperienze alle spalle sono arrivato a Sant'Anna Arresi preparato psicologicamente alla prospettiva di tre diversi progetti di Hanrahan - Conjure, Beautiful Scars e Deep Rumba - che, intrepida e abituata a correre rischi, la rassegna Ai confini tra Sardegna e Jazz ha messo in cartellone, assicurando ad Hanrahan la più ampia vetrina che la sua musica abbia mai avuto in Italia. Dati i precedenti, non mi ha assolutamente turbato, a differenza di altri addetti ai lavori rimasti un po' sconcertati, vedere Hanrahan aggirarsi sul palco durante il set di Conjure e parlare nell'orecchio ai musicisti o impartire indicazioni a gesti, dando abbondantemente anche la sensazione (che probabilmente non è solo una sensazione) di disturbare, non senza goffaggine e un che di maldestro, chi sta suonando, e di intralciare il processo della musica.
In effetti - aiutati anche dalla passione di Hanrahan per il cinema - lo si è sempre paragonato ad un regista: effettivamente, il suo comportamento sul palco fa pensare a quello di un regista che va dall'attore e gli dà delle istruzioni, spiegandogli che cosa vuole da lui in quella certa scena. Solo che il regista nel film non ti fa vedere il proprio lavoro né le scene riuscite male: così i dischi di Hanrahan sono i suoi film come prodotto finito, mentre i live di Hanrahan ti danno assieme il film allo stadio di semilavorato e il making of. Il fatto è che Hanrahan non è un bandleader in senso convenzionale, non ne ha forse nemmeno le competenze necessarie; però ha delle idee, una visione: mutatis mutandis, viene in mente un Giacinto Scelsi. Sul fatto che questa anomalia si traduca poi anche in una modalità di intervento sul palco come quella di cui si è detto si possono poi avanzare tante spiegazioni: probabilmente una buona dose di nevrosi; una sorta di metodo di direzione della spontaneità, che mette nel conto di poter indurre un effetto di precarietà nella musica, di minarne la stabilità, di produrre dei derapage; il gusto del canovaccio modificabile all'impronta; una specie di perfezionismo estemporaneo, anche come inacettazione - forse come riflesso di una personalità insicura - del limite di un risultato definitivo; forse il gusto teatrale ed egocentrico della messa in scena di se stesso; e magari il volersi dare un ruolo per risolvere un complesso di inferiorità nei confronti di musicisti "veri". Tra addetti ai lavori a Sant'Anna Arresi si è discusso parecchio di come interpretare il suo singolare modo di fare: e di quanto questo suo "metodo" rappresenti davvero dal vivo sì un rischio ma anche un valore aggiunto per la musica. In ogni caso, come racconteremo in una seconda puntata su Kip Hanrahan a Sant'Anna Arresi, per molto del girato buona la prima.
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