Primavera Sound 3 | Indie acustici, elettrici, elettronici
Ultimo giorno a Barcellona: vincono le distorsioni di Shellac e Yo La Tengo
Recensione
pop
Il Primavera mette d'accordo molti generi e molti tipi di fan, dai metallari ai rocker anni Novanta, dagli hipster (moltissimi) agli animali da dancefloor, dai ragazzini ai quarantenni.
La sequenza per l'ultimo giorno di festival procede così fluidamente dalla musica acustica a quella elettrica a quella elettronica. Il ragionamento alla base dovrebbe essere quello di offrire gli eventi più intimisti e riflessivi nel momento della giornata in cui il pubblico del festival, ormai provato da due giorni vissuti intensamente, non rischia di addormentarsi, e di mettere l'elettronica più danzereccia avanti nella nottata. Ora, dopo undici ore di musica dal vivo, molti appassionati (io fra quelli) preferirebbero forse una delicata cantautrice ai tamarrissimi Justice (scenografia di imponenza wagneriana, con tanto di croce fiammeggiante) o al minimalissimo Jamie degli xx (che oltre a stare dietro ai pad nel trio londinese, è anche un rispettabile musicista elettronico).
La giornata era partita, appunto, in delicatezza, con la bella voce di Father John Misty, alias Joshua Tillman, già batterista dei Fleet Foxes. Tillman è un cantautore raffinato, dalla bella voce limpida, fra Neil Young e qualcosa di più black, capace di non prendersi troppo sul serio e di catalizzare l'attenzione dell'auditorium per un'ora, in chitarra sola.
Atmosfere altrettanto sognanti (ma spesso elettrificate) per la nuova diva dell'indie Sharon Van Etten, da Brooklyn: la sua interpretazione del genere (quel folk rock americano al femminile) vira verso atmosfere più dark rispetto ad altre colleghe dalla voce altrettanto angelica, ma il set, pur con una buona band, non è forse pronto per un grande palco. Nei grandi spazi, i nodi vengono al pettine: e se Sharon, comunque, mostra la freschezza della sua ispirazione, pure un po' ripetitiva, non altrettanto si può dire dei King of Convenience. I nipotini nordici di Simon e Garfunkel non sono mai riusciti a smarcarsi dai loro modelli, e live mostrano pure le loro pecche tecniche. Canzoni - per usare le parole di un amico - buone per pomiciare al liceo, ma che non hanno mai scoperto la vita adulta. Una pecca che sembra toccare anche i molto hip Beach House: il dream pop da cameretta, tolto dalla cameretta, non sempre funziona: servirebbe un po' più di dinamica (insomma, i King of Convenience, mischiati fra il pubblico, non hanno molto da imparare dai Beach House). Sul genere dreamy, molto meglio allora i Washed Out, che almeno tengono svegli con cassa house e synth electro, infiammando a tarda notte il palco Pitchfork.
In mezzo, nel pomeriggio, menzione d'onore per l'italiano Samuel Katarro, ora rinominatosi King of the Opera. Il suo turbo-folkrock psichedelico e sghembo (più nomi si usano per definire un genere, migliore è la recensione, no?) è pronto per i palchi internazionali. Una proposta ben radicata in linguaggi musicali che italiani non sono, ma che mantiene una sua originalità, senza scimmiottare davvero nessuno.
Ci sono poi gli show elettrici, le cose migliori del giorno: Shellac e Yo La Tengo. Entrambi istituzioni del Primavera Festival, mostrano la vitalità del loro progetto musicale e del loro sound, che non è invecchiato di un giorno. Come a ricordare a tutti, hipster, giovani punk, alternativi radical chic che affollano il Primavera, che la generazione venuta fuori negli anni Novanta rappresenta ancora il canone stilistico della musica indie.
La sequenza per l'ultimo giorno di festival procede così fluidamente dalla musica acustica a quella elettrica a quella elettronica. Il ragionamento alla base dovrebbe essere quello di offrire gli eventi più intimisti e riflessivi nel momento della giornata in cui il pubblico del festival, ormai provato da due giorni vissuti intensamente, non rischia di addormentarsi, e di mettere l'elettronica più danzereccia avanti nella nottata. Ora, dopo undici ore di musica dal vivo, molti appassionati (io fra quelli) preferirebbero forse una delicata cantautrice ai tamarrissimi Justice (scenografia di imponenza wagneriana, con tanto di croce fiammeggiante) o al minimalissimo Jamie degli xx (che oltre a stare dietro ai pad nel trio londinese, è anche un rispettabile musicista elettronico).
La giornata era partita, appunto, in delicatezza, con la bella voce di Father John Misty, alias Joshua Tillman, già batterista dei Fleet Foxes. Tillman è un cantautore raffinato, dalla bella voce limpida, fra Neil Young e qualcosa di più black, capace di non prendersi troppo sul serio e di catalizzare l'attenzione dell'auditorium per un'ora, in chitarra sola.
Atmosfere altrettanto sognanti (ma spesso elettrificate) per la nuova diva dell'indie Sharon Van Etten, da Brooklyn: la sua interpretazione del genere (quel folk rock americano al femminile) vira verso atmosfere più dark rispetto ad altre colleghe dalla voce altrettanto angelica, ma il set, pur con una buona band, non è forse pronto per un grande palco. Nei grandi spazi, i nodi vengono al pettine: e se Sharon, comunque, mostra la freschezza della sua ispirazione, pure un po' ripetitiva, non altrettanto si può dire dei King of Convenience. I nipotini nordici di Simon e Garfunkel non sono mai riusciti a smarcarsi dai loro modelli, e live mostrano pure le loro pecche tecniche. Canzoni - per usare le parole di un amico - buone per pomiciare al liceo, ma che non hanno mai scoperto la vita adulta. Una pecca che sembra toccare anche i molto hip Beach House: il dream pop da cameretta, tolto dalla cameretta, non sempre funziona: servirebbe un po' più di dinamica (insomma, i King of Convenience, mischiati fra il pubblico, non hanno molto da imparare dai Beach House). Sul genere dreamy, molto meglio allora i Washed Out, che almeno tengono svegli con cassa house e synth electro, infiammando a tarda notte il palco Pitchfork.
In mezzo, nel pomeriggio, menzione d'onore per l'italiano Samuel Katarro, ora rinominatosi King of the Opera. Il suo turbo-folkrock psichedelico e sghembo (più nomi si usano per definire un genere, migliore è la recensione, no?) è pronto per i palchi internazionali. Una proposta ben radicata in linguaggi musicali che italiani non sono, ma che mantiene una sua originalità, senza scimmiottare davvero nessuno.
Ci sono poi gli show elettrici, le cose migliori del giorno: Shellac e Yo La Tengo. Entrambi istituzioni del Primavera Festival, mostrano la vitalità del loro progetto musicale e del loro sound, che non è invecchiato di un giorno. Come a ricordare a tutti, hipster, giovani punk, alternativi radical chic che affollano il Primavera, che la generazione venuta fuori negli anni Novanta rappresenta ancora il canone stilistico della musica indie.
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