Primavera Sound 1 | Celebrity Deathmatch
Cosa ascoltare se tutti suonano allo stesso tempo? Primo giorno al festival di Barcellona
Recensione
pop
Chi mi conosce anche solo un po' sa che non si dovrebbe lasciarmi scegliere neanche dove andare a mangiare: come l'asino del proverbio, potrei anche lasciarmi morire di fame. Così, il primo giorno del Primavera Festival di Barcellona ha più a che fare con una terapia che non con un festival: in un programma che pare compilato più da un genio maligno (il mio personale genio maligno?) che da una direzione artistica, tutte le cose più interessanti si sovrappongono in uno spietato match all'ultimo sangue fra band (ricordate "Celebrity Deathmatch" su MTV?). E nei palchi fra loro più lontani: il complesso del festival, il Parc del Fòrum, sul mare, proprio in fondo a Diagonal, è una piccola città, e muoversi da un capo all'altro - nella folla poi - porta via almeno quindici minuti. Gli scontri del giorno prevedono gli Afghan Whigs di Greg Dulli, in grande spolvero sul palco principale, contro Lee Ranaldo (già Sonic Youth); Spiritualized contro Franz Ferdinand contro Wolves in the Throne Room contro Japandroids; Death Cab for Cuties contro Mazzy Star. E - soprattutto - Wilco contro Beirut. Se poi uno è un collezionista seriale di concerti... C'è da collezionare frustrazioni. Ci sono già passato, l'anno scorso al Sònar ho mancato Fatboy Slim e ancora il dolore non accenna a diminuire. Alcuni adottano la tattica zapping, e corrono come biglie indie impazzite da un palco all'altro: con cambi di atmosfera piuttosto radicali, si passa così dagli Afghan Whigs a Grimes - giovane talento canadese dell'electro-indie che il giorno prima suonava sotto casa mia, e me ne ero scordato. Il passaggio tra un concerto e l'altro regala ogni volta sovrapposizioni di suoni inedite e nuovi generi musicali ibridi, e nei palchi minori si scoprono, magari per pochi secondi, nuovi talenti: come Hot Panda, giovane band a metà strada fra i Battles e i Vampire Weekend, da approfondire davvero.
Dopo una prima fase di passaggio compulsivo da un palco all'altro, scommettiamo sul palco Mini. I Death Cab for Cuties, dal vivo, dilatano le loro canzoni in lunghe sequenze minimal-psichedeliche (con il leader Ben Gibbard che si concede pure una lunga sequenza come batterista aggiunto). La scaletta, con molti brani dal penultimo lavoro (Narrow Stairs, fra cui una torrenziale "I Will Possess Your Love") non concede pause. Al punto che, subito dopo, i Beirut (sì, niente Wilco: bisognava prendere una posizione infine) paiono fin troppo "puliti" e educati. La band di Zach Condon si presenta con una formazione ridotta rispetto al tour di presentazione di The Rip Tide, con sezione ritmica, fisarmonica, tromba e trombone (e lui stesso alternato fra voce, tromba e curioso ibrido fra ukulele, chitarra e cavaquinho). Pur con il rischio di giocare troppo con atmosfere che potrebbero anche risultare troppo sommesse per un grande palco, Condon si conferma uno dei musicisti "indie" americani più "europei" e aperti. Anche se - diciamocelo - abusa un po' troppo del 3/4...
Discorso simile circa uso e abuso di atmosfere "marchio di fabbrica" può valere per gli xx (che suoneranno sotto casa mia, al Traffic, la settimana prossima...). Forti di un primo disco omonimo acclamato dalla critica come capolavoro, e in attesa del secondo disco, il trio londinese batte i palchi dell'Europa nell'attesa generale. Le canzoni nuove ci sono, ma sono rimandate al disco: difficile valutarle. Rimane l'impressione che il gruppo sia ben consapevole dei propri mezzi, sappia gestire con classe veterana le proprie atmosfere minimali, i crescendo appena accennati, i climax continuamente attesi e negati. Ma, per ora, le idee - a livello di sound, di struttura dei pezzi, di incastri basso-chitarra - sono quelle e quelle soltanto. Spicca una versione liquida dell'inno "Crystalised", su base di tastiera, e senza riff.
Dal vivo esprime meglio la propria vena psych-funk, invece, Spiritualized: la creatura di Jason Pierce presenta il recente Sweet Heart Sweet Light con tanto di coriste: l'iniziale, lunghissima (anche su disco) "Hey Jane" vale da sola il biglietto.
Menzione finale per i Japandroids: il loro post-rock-punk-hardcore raccoglie più gente intorno al piccolo palco Vice del maestro dell'elettronica minimale più raffinata The Field, che si esibisce sul contiguo palco Pitchfork. Ci sono concerti dal pomeriggio, e per aver voglia di ballare bisogna avere il fisico. Meglio i suoni forti.
Dopo una prima fase di passaggio compulsivo da un palco all'altro, scommettiamo sul palco Mini. I Death Cab for Cuties, dal vivo, dilatano le loro canzoni in lunghe sequenze minimal-psichedeliche (con il leader Ben Gibbard che si concede pure una lunga sequenza come batterista aggiunto). La scaletta, con molti brani dal penultimo lavoro (Narrow Stairs, fra cui una torrenziale "I Will Possess Your Love") non concede pause. Al punto che, subito dopo, i Beirut (sì, niente Wilco: bisognava prendere una posizione infine) paiono fin troppo "puliti" e educati. La band di Zach Condon si presenta con una formazione ridotta rispetto al tour di presentazione di The Rip Tide, con sezione ritmica, fisarmonica, tromba e trombone (e lui stesso alternato fra voce, tromba e curioso ibrido fra ukulele, chitarra e cavaquinho). Pur con il rischio di giocare troppo con atmosfere che potrebbero anche risultare troppo sommesse per un grande palco, Condon si conferma uno dei musicisti "indie" americani più "europei" e aperti. Anche se - diciamocelo - abusa un po' troppo del 3/4...
Discorso simile circa uso e abuso di atmosfere "marchio di fabbrica" può valere per gli xx (che suoneranno sotto casa mia, al Traffic, la settimana prossima...). Forti di un primo disco omonimo acclamato dalla critica come capolavoro, e in attesa del secondo disco, il trio londinese batte i palchi dell'Europa nell'attesa generale. Le canzoni nuove ci sono, ma sono rimandate al disco: difficile valutarle. Rimane l'impressione che il gruppo sia ben consapevole dei propri mezzi, sappia gestire con classe veterana le proprie atmosfere minimali, i crescendo appena accennati, i climax continuamente attesi e negati. Ma, per ora, le idee - a livello di sound, di struttura dei pezzi, di incastri basso-chitarra - sono quelle e quelle soltanto. Spicca una versione liquida dell'inno "Crystalised", su base di tastiera, e senza riff.
Dal vivo esprime meglio la propria vena psych-funk, invece, Spiritualized: la creatura di Jason Pierce presenta il recente Sweet Heart Sweet Light con tanto di coriste: l'iniziale, lunghissima (anche su disco) "Hey Jane" vale da sola il biglietto.
Menzione finale per i Japandroids: il loro post-rock-punk-hardcore raccoglie più gente intorno al piccolo palco Vice del maestro dell'elettronica minimale più raffinata The Field, che si esibisce sul contiguo palco Pitchfork. Ci sono concerti dal pomeriggio, e per aver voglia di ballare bisogna avere il fisico. Meglio i suoni forti.
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