Amore credici

diario del 22 luglio

Recensione
jazz
Dall’Argentiera di Sassari Muravera non è proprio dietro l’angolo. Stavolta i sardi hanno ragione e ogni tanto anche la Sardegna sembra lunga. Perché il viaggio di oggi, assieme alla trasferta del 27 luglio da Santa Teresa Gallura a Sant’Antioco, è quello più lungo di questo tour che ha già macinato diecimila chilometri. A Sanluri prendiamo in direzione Guasila e passiamo a Senorbì, Ortacesus, Ballao e San Vito attraversando Trexenda e Sarrabus, boschi e valli, borghi e paesi con case che sembrano sempre in costruzione ma che in realtà sono finite ma a te non sembra. D’improvviso a San Basilio appare il telescopio più grande d’Europa. L’SRT (Sardinia radio telescope) sembra finto. Costato la bellezza di 67 milioni di euro punta il cielo e le stelle per trasmettere informazioni e immagini dallo spazio ma non si ancora capito se, nonostante i soldi spesi, riusciranno a farlo funzionare. Ortacesu e San Vito sono legati non solo da una statale bellissima e ricca di curve ma dalla tradizione dei suonatori di launeddas. Il maestro Dionigi Burranca, seppure nato a Samatzai, ha vissuto a Ortacesus fino alla sua morte nel 1995 e oltre ad essere stato uno dei più grandi suonatori della storia sarda è stato l’oggetto degli studi dell'etnomusicologo danese Andreas Bentzon.
Il Maestro Luigi Lai invece proviene da San Vito e questa sera, prima dell’inizio del concerto in duo con il pianista Danilo Rea, ci regalerà un solo di benvenuto davanti alla Torre dei dieci cavalli. Con Luigi ci conosciamo da venti anni ed è un musicista immenso sia per tecnica che per creatività. Ha un timing degno del più grande swingatore del jazz e riesce con le launeddas che sono un pezzo di canna a ottenere addirittura le note blues come fosse Coltrane o Charlie Parker. Oltre ai concerti si dedica anche all’insegnamento e ora ha inaugurato un museo delle launeddas proprio a San Vito finanziato da lui stesso e del quale va giustamente fiero. Muravera non è proprio dietro l’angolo ma riusciamo ad arrivarci dopo tre ore di macchina e prima di entrare a San Vito si vede finalmente l’altro mare. Siamo passati in tre ore da quello dell’Argentiera che guarda verso la Corsica a quello di Muravera e Villasimius che tende all’Africa ed è lì che ti rendi conto della posizione strategica dell’Isola. La Torre dei dieci cavalli la vedi alla fine perché ora è nascosta da un canneto. Le stesse canne usate dai Maestri Burranca e Lai per costruire Tumbu, Mancosa e Mancosedda per le launeddas, lo strumento polifonico più antico di tutto il Mediterraneo, che la storia del Mare Nostrum l’hanno raccontata e la raccontano tuttora. Si racconta anche che quando arrivavano i Mori dieci cavalieri galoppavano veloci per avvisare la popolazione dell’arrivo dei cattivi. Nella t-shirt che ho indossato al concerto cappeggia in bella vista il volto di un maghrebino accanto alla scritta “Ohi su Moru!” che è il nome della manifestazione che a Muravera si svolge ogni anno per ricordare quei tempi lontani. Alcune donne francesi capitate per caso nella lolla dove ci hanno servito la cena chiedono il significato di quella scritta e soprattutto se c’è un riferimento alle migrazioni ultime dall’Africa del Nord. Rispondo che è parte di una storia lontana ma non sembrano convinte. All’ingresso della galleria di Geremeas in direzione Castiadas e Cagliari appare la scritta “Amore credici”. La storia prima si vive e poi si scrive non senza rendersi conto, in alcuni casi, della percezione distorta delle cose.

Due scritte a confronto. Una in copia unica lasciata all’ingresso di una galleria e un’altra declinata in più copie e impressa su magliettine small, medium, large e extra large. “Amore credici” è semplice ed efficace. Credere è il preludio del fare e credere in amore significa amare realmente. Corrisposti o meno cambia poco. Credere è anche fabbricare credenze che poi si tramandano nei secoli ed è antica credenza il pensare che i Mori siano cattivi e che tutto ciò che arriva dall’Africa porti sventura. Quelli dell’associazione culturale “La Forgia” di Muravera organizzano non solo la rievocazione storica di “Ohi su Moru!” sotto l’attenta regia di Salvo Nicotra ma organizzano per noi una cena incredibile in una corte del paese con le donne vestite in costume e con i muggini arrostiti al sale con le interiora comprese che sanno di mare più del mare.
Arriva anche una fregola alla carne e poi una capra da guinness. Forse la più buona mangiata in questi 41 giorni di tour. Bisognerà pure stilare le graduatorie ora che andiamo verso la fine di “!50”. Dopo l’esibizione del Maestro Lai il concerto in duo con Danilo Rea inizia con canzoni e standard decisi di volta in volta. Passiamo dai Beatles a De Andrè, da Mia Martini ai Beatles, da Haendel a non mi ricordo più cosa, da “Bye bye Blackbird” a “Que sera sera” e Danilo è contento perché la serata è magica, in quel posto magico e con migliaia di persone sedute per terra a guardare la torre illuminata. Torre che prelude al mare africano.
Alla fine del concerto un brindisi alla Quirra maltrattata. Un signore alto mi dice “bello il suo concerto ma ci sono rimasto male perché nel poligono ci ho lavorato per 40 anni e sono ancora qua”. Antiche credenze. Basta crederci penso io. Quelli di “La Forgia” ci attendono per un brindisi. Chiedo ad Assuntina Aresu di scrivermi su un foglio di carta i nomi di quelli che hanno lavorato per la nostra cena. Prende un foglio a quadretti e inizia a scrivere lentamente. Molto lentamente. Le chiedo come mai ci mette così tanto tempo. “Sai, qui lavoriamo tutti con lo spirito di una squadra e con il feeling di una compagnia teatrale. Tutti sono importanti e non si può dimenticare nessuno”. I nomi sono quelli di Eligio Mulas, Giorgio Mattana, Gabriella Deidda, oretta Usai, Erika Mattana, Carlo Deidda, Antonello Pisano, Assuntina Aresu, Vito Caramia, Lucia Aresu… Ne mancano ancora e lei continua a scrivere ma noi dobbiamo andare via. Domani mattina la sveglia è all’alba. L’IttiriFolkFesta mi attende per consegnarmi il premio “Zenias” alle dodici in punto. Da Muravera a Ittiri sono altre tre ore di macchina. Dal Sarrabus alla Nurra. Inizio a pensare anche io che la Sardegna sia grande…

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