Pecore miniere spettri
diario del 21 luglio
Recensione
jazz
Lalla Careddu, Alessandro Mazzarelli, Elio Satta, Errico Buonanno e Flavio Soriga ieri hanno letto la Sardegna contemporanea nella Piazzetta del villaggio dell’Argentiera.
Lalla Careddu fa una vita normale. Non che gli scrittori o i musicisti facciano una vita anormale, ma lei non fa la scrittrice di professione. Come Elio Satta che a Sassari porta le pizze a casa della gente.
Elio porta le pizze e ieri sera, davanti a diverse migliaia di persone entusiaste accorse da tutto il Nord Sardegna, ha portato le sue parole ironiche come Soriga che era accompagnato alla chitarra e alla voce da Giovanni Peresson.
La gente mangia le pizze come mangia la cultura della quale si ha fame.
Ieri sera al Festival “Sulla terra leggeri” Massimo Cirri ha improvvisato uno spettacolo à la carte chiedendo al pubblico di stimolare una suggestione che io potessi tradurre in musica. “Si sta, come d’autunno, sugli alberi, le foglie” era la prima e mi ha permesso di salire sull’unico albero della piazza a suonare “Ci vuole un fiore” di Rodari. La seconda era “La Sardegna che amo”. Il brano era “Sardità” di Stefano Bollani che recita il nonsense “E parippa s’accadora cuddhu ruccu secc’a fora Zedda Piras Paolo Fresu ”. La terza “Argentiera” con “Passavamo sulla terra leggeri” letta da Lella Costa a Berchidda qualche anno fa. L’ultima una suggestione sulla terra, la musica e il vino. Su questa l’Aria delle “Variazioni Goldberg” di Bach e poi “Over And Over Again” di John Coltrane. Tutta roba buona. Da mangiare e da sentire. Anche Mazzarelli e Buonanno, i due scrittori senza passaporto sardo, hanno riso dei sardi e dei continentali che vedono i sardi. Con gusto e leggerezza sulla terra dell’Argentiera. “Sulla terra leggeri” è il festival di scrittura organizzato da Flavio Soriga e che questo anno giunge alla quarta edizione. In realtà il concerto-reading di ieri sera doveva essere in duo con Paolo Rossi che si è beccato una intossicazione alimentare in un set cinematografico assieme ai suoi colleghi e che ora giace a letto alla Maddalena. Meglio intossicato alla Maddalena che altrove. Basta che passi subito! Paolo avrebbe letto i suoi “Blues” metropolitani ma abbiamo dovuto sostituirlo con una cosa completamente improvvisata e messa in piedi all’ultimo momento e per telefono con Flavio Soriga.
La piazzetta dell’Argentiera non è un granché ma spostare lo spettacolo al mare avrebbe posto una innumerevole serie di problemi tecnici e logistici. Una piazza come tante e un albero arruffato al centro che è diventato il vero protagonista della serata al punto che io vi sono salito sopra con lo strumento. Sotto l’albero c’ero io con tromba, flicorno, effettistica e computer per lanciare alcuni dei sampler usati per stare al gioco di Massimo Cirri. Gli scrittori-lettori erano posizionati dall’altra parte in una sorta di game divertente, onirico e dissacrante. Lalla Careddu ha letto un testo sui luoghi comuni degli anni sessanta e Alessandro Mazzarelli sulla Sardegna vista dal Continente. Testi acuti, pungenti e autoironici come quello di Elio Satta, talmente esilarante che io non c’è l’ho fatta a suonare o ho riso per dieci minuti. Il testo più serioso e più jazzistico era quello di Errico Buonanno. Su questo c’era il blues e anche “A Foggy Day” di Billie Holiday perché Billie non può mancare mai.
Dopo una mia versione di "Si dolce è il tormento” di Claudio Monteverdi dove ho suonato su me stesso ha attaccato Flavio Soriga e anche lì il pubblico rideva a lacrime quando raccontava di cinghiali e mufloni uccisi a morsi e a testate da sardi pelliti da sposare perché selvaggi al punto giusto. Poi il karaoke con Massimo Cirri e al quale gioco mi sono concesso volentieri. Alla terza suggestione, quella sull’Argentiera, Massimo ha detto “complimenti, mi pare proprio una bella stronzata” e poi invece Lella Costa che leggeva Atzeni nella chiesetta di Santu Migali a Berchidda ha dato un senso alla possibile stronzata perché Sergio Atzeni, lo abbiamo già detto, mette tutti d’accordo e minimizza anche le stronzate. Alla fine Lalla, Alessandro, Elio, Errico e Flavio leggono assieme tutti i luoghi delle nostre tappe di “!50” come fossero parole da affidare al vento: Berchidda, Nuoro, Baratili San Pietro, San Teodoro, Pula, Sedilo, Belvì, Lei, Bolotana, Castelsardo, Nureci, Sarroch, Paulilatino, Allai, Sorso, Nurachi, Carloforte, Perfugas, Gavoi, Cuglieri, Bosa, San Sperate, Oliena, Orani, Carbonia, Ulassai, Settimo San Pietro, Oristano, Barumini, Posada, Uta, Fluminimaggiore, Mandas, Arbus, Stintino, Dorgali, Neoneli, Mogorella, Trinità D’Agultu, Argentiera, Muravera, Tresnuraghes, Meana Sardo, Guspini, Ollolai, Santa Teresa di Gallura, Sant’Antioco, Mogoro, Siddi, Cagliari.
Le macchine questa sera sono state parcheggiate fino a sei chilometri di distanza. Comprensibile per così tanta gente. Perché all’Argentiera ti devi mettere d’impegno per arrivarci. Perché è in un buco di posto che quando vedi tutto d’un tratto il mare ti sembra di vedere il cielo tanto è blu. E se non ci fosse un gregge di pecore a pascolare lì vicino potresti essere in qualsiasi paradiso del mondo e invece sei all’Argentiera e lo capisci quando appare, in fondo all’imbuto della strada, il villaggio spettrale della miniera con le sue strutture corrose dal tempo e oggi in disuso. Nelle ultime curve si va piano. Davanti a noi un’Ape bianca con due Robinson Crusoe con una barba bianca e lunga che sembrano usciti da un film della Lina Wertmuller e sull’Ape la scritta “No Radar all’Argentiera”. Sul sax di Coltrane che fa ora da sottofondo racconto quando, due anni fa, ero seduto con mia moglie e il piccolo Andrea nel baretto dell’Argentiera. Passò una macchina con targa NU e dopo avermi notato fece marcia indietro. “Paolo Fresu sei?” disse. “Ehia” risposi. “Ebbè, perché non sei a Porto Cervo?” domandò con aria accigliata. Neanche il tempo di rispondere, perché ripartì veloce ma non troppo verso l’imbuto della strada che porta verso Sassari, Stintino e Alghero.
Mi vedo ancora, con la mano alzata in cerca di una risposta che non c’era. Spero solo che al Billionaire non abbiano sentito la mia mancanza.
Ieri sera al Festival “Sulla terra leggeri” Massimo Cirri ha improvvisato uno spettacolo à la carte chiedendo al pubblico di stimolare una suggestione che io potessi tradurre in musica. “Si sta, come d’autunno, sugli alberi, le foglie” era la prima e mi ha permesso di salire sull’unico albero della piazza a suonare “Ci vuole un fiore” di Rodari. La seconda era “La Sardegna che amo”. Il brano era “Sardità” di Stefano Bollani che recita il nonsense “E parippa s’accadora cuddhu ruccu secc’a fora Zedda Piras Paolo Fresu ”. La terza “Argentiera” con “Passavamo sulla terra leggeri” letta da Lella Costa a Berchidda qualche anno fa. L’ultima una suggestione sulla terra, la musica e il vino. Su questa l’Aria delle “Variazioni Goldberg” di Bach e poi “Over And Over Again” di John Coltrane. Tutta roba buona. Da mangiare e da sentire. Anche Mazzarelli e Buonanno, i due scrittori senza passaporto sardo, hanno riso dei sardi e dei continentali che vedono i sardi. Con gusto e leggerezza sulla terra dell’Argentiera. “Sulla terra leggeri” è il festival di scrittura organizzato da Flavio Soriga e che questo anno giunge alla quarta edizione. In realtà il concerto-reading di ieri sera doveva essere in duo con Paolo Rossi che si è beccato una intossicazione alimentare in un set cinematografico assieme ai suoi colleghi e che ora giace a letto alla Maddalena. Meglio intossicato alla Maddalena che altrove. Basta che passi subito! Paolo avrebbe letto i suoi “Blues” metropolitani ma abbiamo dovuto sostituirlo con una cosa completamente improvvisata e messa in piedi all’ultimo momento e per telefono con Flavio Soriga.
La piazzetta dell’Argentiera non è un granché ma spostare lo spettacolo al mare avrebbe posto una innumerevole serie di problemi tecnici e logistici. Una piazza come tante e un albero arruffato al centro che è diventato il vero protagonista della serata al punto che io vi sono salito sopra con lo strumento. Sotto l’albero c’ero io con tromba, flicorno, effettistica e computer per lanciare alcuni dei sampler usati per stare al gioco di Massimo Cirri. Gli scrittori-lettori erano posizionati dall’altra parte in una sorta di game divertente, onirico e dissacrante. Lalla Careddu ha letto un testo sui luoghi comuni degli anni sessanta e Alessandro Mazzarelli sulla Sardegna vista dal Continente. Testi acuti, pungenti e autoironici come quello di Elio Satta, talmente esilarante che io non c’è l’ho fatta a suonare o ho riso per dieci minuti. Il testo più serioso e più jazzistico era quello di Errico Buonanno. Su questo c’era il blues e anche “A Foggy Day” di Billie Holiday perché Billie non può mancare mai.
Dopo una mia versione di "Si dolce è il tormento” di Claudio Monteverdi dove ho suonato su me stesso ha attaccato Flavio Soriga e anche lì il pubblico rideva a lacrime quando raccontava di cinghiali e mufloni uccisi a morsi e a testate da sardi pelliti da sposare perché selvaggi al punto giusto. Poi il karaoke con Massimo Cirri e al quale gioco mi sono concesso volentieri. Alla terza suggestione, quella sull’Argentiera, Massimo ha detto “complimenti, mi pare proprio una bella stronzata” e poi invece Lella Costa che leggeva Atzeni nella chiesetta di Santu Migali a Berchidda ha dato un senso alla possibile stronzata perché Sergio Atzeni, lo abbiamo già detto, mette tutti d’accordo e minimizza anche le stronzate. Alla fine Lalla, Alessandro, Elio, Errico e Flavio leggono assieme tutti i luoghi delle nostre tappe di “!50” come fossero parole da affidare al vento: Berchidda, Nuoro, Baratili San Pietro, San Teodoro, Pula, Sedilo, Belvì, Lei, Bolotana, Castelsardo, Nureci, Sarroch, Paulilatino, Allai, Sorso, Nurachi, Carloforte, Perfugas, Gavoi, Cuglieri, Bosa, San Sperate, Oliena, Orani, Carbonia, Ulassai, Settimo San Pietro, Oristano, Barumini, Posada, Uta, Fluminimaggiore, Mandas, Arbus, Stintino, Dorgali, Neoneli, Mogorella, Trinità D’Agultu, Argentiera, Muravera, Tresnuraghes, Meana Sardo, Guspini, Ollolai, Santa Teresa di Gallura, Sant’Antioco, Mogoro, Siddi, Cagliari.
Le macchine questa sera sono state parcheggiate fino a sei chilometri di distanza. Comprensibile per così tanta gente. Perché all’Argentiera ti devi mettere d’impegno per arrivarci. Perché è in un buco di posto che quando vedi tutto d’un tratto il mare ti sembra di vedere il cielo tanto è blu. E se non ci fosse un gregge di pecore a pascolare lì vicino potresti essere in qualsiasi paradiso del mondo e invece sei all’Argentiera e lo capisci quando appare, in fondo all’imbuto della strada, il villaggio spettrale della miniera con le sue strutture corrose dal tempo e oggi in disuso. Nelle ultime curve si va piano. Davanti a noi un’Ape bianca con due Robinson Crusoe con una barba bianca e lunga che sembrano usciti da un film della Lina Wertmuller e sull’Ape la scritta “No Radar all’Argentiera”. Sul sax di Coltrane che fa ora da sottofondo racconto quando, due anni fa, ero seduto con mia moglie e il piccolo Andrea nel baretto dell’Argentiera. Passò una macchina con targa NU e dopo avermi notato fece marcia indietro. “Paolo Fresu sei?” disse. “Ehia” risposi. “Ebbè, perché non sei a Porto Cervo?” domandò con aria accigliata. Neanche il tempo di rispondere, perché ripartì veloce ma non troppo verso l’imbuto della strada che porta verso Sassari, Stintino e Alghero.
Mi vedo ancora, con la mano alzata in cerca di una risposta che non c’era. Spero solo che al Billionaire non abbiano sentito la mia mancanza.
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