Sotto un cielo stellato
diario del 29 giugno
Recensione
jazz
A Perfugas ci aspettano nella Sala Consigliare per le cinque. Da Oristano saliamo sulla 131 fino a Ploaghe e poi prendiamo la scorrimento veloce in direzione Tempio Pausania. Ci lasciamo sulla destra sia il bivio per Martis e Chiaramonti, sia quello per Erula e Tula da dove, saltando la montagna, si arriva poi a Berchidda e alla valle del Coghinas. E’ una zona di grandi parchi eolici e le pale svettano sulle sommità delle montagne. A dire il vero, non so se mi piacciono veramente e forse iniziano a essere troppe, ma è vero anche che la riflessione sui temi della produzione energetica è complesso. Meglio rimandarlo, dunque.
Appena entrati in paese chiediamo a tre persone di una certa età dov'è il Comune, e come al solito ci danno indicazioni precise con dovizia di particolari. Scrutano curiosi la nostra macchina con il logo colorato di “!50” e mentre ripartiamo li scruto anche io con la coda dell’occhio dallo specchietto retrovisore e li vedo parlare con le mani. Chissà cosa si dicevano. Nonostante tiri un po’ di maestrale fa un caldo che non si può. Non oso immaginare cosa sarebbe se non spirasse un po’ di vento perché Perfugas sta in una conca e l’impressione è di essere dentro un forno. Nell’insegna del negozio che vende le bombole del gas c’è scritto “Perfu-Gas”. Esempio perfetto di rapporto tra locale e globale, in barba alle moderne teorie di buona economia e di commercio. Il Sindaco ci invita al bar e lì ci raggiungono gli assessori e Floriana della Pro Loco con tutti i suoi componenti che portano una t-shirt gialla con il loro logo. Viene anche il responsabile della Compagnia Barracellare e i rappresentanti dell’Avis e parliamo di lingua e del fatto che a Perfugas si parla più o meno come a Berchidda, il mio paese, nonostante loro siano circondati da paesi e frazioni dove invece si parla il gallurese. Dovendo tracciare una mappa delle parlate tra Lodudoro e Alta e Bassa Gallura questa sarebbe a macchia di leopardo e ciò conferma ancora di più l’idea di un’isola caleidoscopica. Che dire poi di Luras, paesino tra Calangianus e Tempio, dove si parla proprio in berchiddese?
Il paese, tremila anime in tutto, è tenuto benissimo. Le strade del centro e la piazza con il Municipio sono state lastricate da poco e scopro dell’esistenza di un pozzo sacro simile a quello di Santa Cristina e di numerose chiese tra cui quella di Santa Maria degli Angeli che ospita il retablo di un anonimo del XVI secolo. Anche questo restaurato benissimo. Noi suoneremo fuori dalla Chiesa di Santa Maria ‘e Fora, che è del 1160 e che è bellissima e a poche centinaia di metri dal paese.
Alla fine della prova del suono faccio il check del microfono per le presentazioni e inizio a contare i giorni trascorsi fino a quando i ragazzi dello staff non chiedono a voce alta «e quanti ne mancano?». È ormai un rito cabalistico il nostro. Io faccio il conto a ritroso e tutti ridiamo nonostante il caldo torrido. A Perfugas mercoledì mi sono fermato a diciotto. 18 di 50. Perché tanti sono i concerti di questo folle tour in giro per l’Isola. 50 giorni di fila in 50 luoghi unici e con 50 progetti diversi che coinvolgono 250 artisti che vengono da tutte le parti del mondo a raccontare una Sardegna ricca e varia che si interroga sui temi dell’energia e che scopre grazie a questo viaggio musicale e umano che l’impossibile è possibile. Berchidda, Nuoro, Baratili San Pietro, San Teodoro, Nora, Sedilo, Belvì, Lei, Bolotana, Castelsardo, Nureci, Sarroch, Paulilatino, Allai, Sorso, Nurachi, Carloforte, Perfugas. Sono i luoghi che abbiamo toccato dal 12 giugno a oggi e il concerto inaugurale di Berchidda, con il mio Quintetto e la Banda Musicale del paese dove sono nato, mi sembra preistoria. Perché questo viaggio è talmente ricco che la mia memoria temporale non smaltisce e archivia velocemente.
Il sindaco ci riceve in Comune per consegnarmi una targa e un libro sul territorio. Ci sono quelli della Pro Loco, i barracelli, i vigili, gente del posto e quattro Carabinieri. Ringrazio, parlo del senso dei “50!” e mi avvio verso il luogo del concerto. Più che un concerto quello di stasera, “Laribiancos”, è un reading, un’azione teatrale, un dialogo a due con Pierpaolo Piludu, di Cada Die Teatro, su un testo storico che è “Quelli dalle labbra bianche” di Francesco “Cicitu” Masala. La storia del campanaro di Arasolè che, tornato dalla guerra in Russia, suona per i suoi compagni morti in battaglia: Culubiancu, Animamea, Pistamurru, Mammutone, Tric Trac...
Pierpaolo Piludu di Cada Die Teatro lo interpreta benissimo, quel testo ormai è suo, mentre Giancarlo Biffi dà qualche suggerimento sulla forma dello spettacolo e i luciai si sono messi il cuore in pace e provano a ottenere il massimo risultato per quella situazione particolare che di teatro vero sembra avere ben poco. La gente accorre numerosa e l’atmosfera è quella delle grandi feste, con bambini e grandi che ridono durante lo spettacolo, che è in italiano ma con molte parole in sardo.
Mio papà non è venuto nonostante Berchidda non sia lontana. Dice che ci sono troppe parolacce e una volta l’ha detto anche a Pierpaolo e a Giancarlo: «Ma perché non togliete quelle parole sconce?», ha detto loro. «Ma le ha scritte Cicitu Masala», hanno risposto loro, preoccupati: «Non possiamo modificare un testo che è storia e che è uno dei più belli della nostra Isola al punto che lo stesso Marquez pare che ne abbia tratto ispirazione». Mio padre stasera non viene lo stesso. Verrà a uno dei prossimi concerti senza parole secondo lui sconce. Come per tutti i concerti di “!50” non c’è un palco ma il numeroso pubblico si dispone per terra, tra gli alberi, sotto un cielo stellato che fa da quinta. L’erba è stata tagliata da poco e profuma di vita. Anche questa sera la Sardegna ci ha fatto un regalo e un altro regalo mi fa Franco Stefano Ruiu, che è nuorese, durante la buona cena offerta dalla Pro Loco. una quartina in sardo che recita:
“A su bessire ‘e s’istella
B’andat su matzone a runda
Sos chi azes muzere bella
Sonadebola sa trumba
Appena entrati in paese chiediamo a tre persone di una certa età dov'è il Comune, e come al solito ci danno indicazioni precise con dovizia di particolari. Scrutano curiosi la nostra macchina con il logo colorato di “!50” e mentre ripartiamo li scruto anche io con la coda dell’occhio dallo specchietto retrovisore e li vedo parlare con le mani. Chissà cosa si dicevano. Nonostante tiri un po’ di maestrale fa un caldo che non si può. Non oso immaginare cosa sarebbe se non spirasse un po’ di vento perché Perfugas sta in una conca e l’impressione è di essere dentro un forno. Nell’insegna del negozio che vende le bombole del gas c’è scritto “Perfu-Gas”. Esempio perfetto di rapporto tra locale e globale, in barba alle moderne teorie di buona economia e di commercio. Il Sindaco ci invita al bar e lì ci raggiungono gli assessori e Floriana della Pro Loco con tutti i suoi componenti che portano una t-shirt gialla con il loro logo. Viene anche il responsabile della Compagnia Barracellare e i rappresentanti dell’Avis e parliamo di lingua e del fatto che a Perfugas si parla più o meno come a Berchidda, il mio paese, nonostante loro siano circondati da paesi e frazioni dove invece si parla il gallurese. Dovendo tracciare una mappa delle parlate tra Lodudoro e Alta e Bassa Gallura questa sarebbe a macchia di leopardo e ciò conferma ancora di più l’idea di un’isola caleidoscopica. Che dire poi di Luras, paesino tra Calangianus e Tempio, dove si parla proprio in berchiddese?
Il paese, tremila anime in tutto, è tenuto benissimo. Le strade del centro e la piazza con il Municipio sono state lastricate da poco e scopro dell’esistenza di un pozzo sacro simile a quello di Santa Cristina e di numerose chiese tra cui quella di Santa Maria degli Angeli che ospita il retablo di un anonimo del XVI secolo. Anche questo restaurato benissimo. Noi suoneremo fuori dalla Chiesa di Santa Maria ‘e Fora, che è del 1160 e che è bellissima e a poche centinaia di metri dal paese.
Alla fine della prova del suono faccio il check del microfono per le presentazioni e inizio a contare i giorni trascorsi fino a quando i ragazzi dello staff non chiedono a voce alta «e quanti ne mancano?». È ormai un rito cabalistico il nostro. Io faccio il conto a ritroso e tutti ridiamo nonostante il caldo torrido. A Perfugas mercoledì mi sono fermato a diciotto. 18 di 50. Perché tanti sono i concerti di questo folle tour in giro per l’Isola. 50 giorni di fila in 50 luoghi unici e con 50 progetti diversi che coinvolgono 250 artisti che vengono da tutte le parti del mondo a raccontare una Sardegna ricca e varia che si interroga sui temi dell’energia e che scopre grazie a questo viaggio musicale e umano che l’impossibile è possibile. Berchidda, Nuoro, Baratili San Pietro, San Teodoro, Nora, Sedilo, Belvì, Lei, Bolotana, Castelsardo, Nureci, Sarroch, Paulilatino, Allai, Sorso, Nurachi, Carloforte, Perfugas. Sono i luoghi che abbiamo toccato dal 12 giugno a oggi e il concerto inaugurale di Berchidda, con il mio Quintetto e la Banda Musicale del paese dove sono nato, mi sembra preistoria. Perché questo viaggio è talmente ricco che la mia memoria temporale non smaltisce e archivia velocemente.
Il sindaco ci riceve in Comune per consegnarmi una targa e un libro sul territorio. Ci sono quelli della Pro Loco, i barracelli, i vigili, gente del posto e quattro Carabinieri. Ringrazio, parlo del senso dei “50!” e mi avvio verso il luogo del concerto. Più che un concerto quello di stasera, “Laribiancos”, è un reading, un’azione teatrale, un dialogo a due con Pierpaolo Piludu, di Cada Die Teatro, su un testo storico che è “Quelli dalle labbra bianche” di Francesco “Cicitu” Masala. La storia del campanaro di Arasolè che, tornato dalla guerra in Russia, suona per i suoi compagni morti in battaglia: Culubiancu, Animamea, Pistamurru, Mammutone, Tric Trac...
Pierpaolo Piludu di Cada Die Teatro lo interpreta benissimo, quel testo ormai è suo, mentre Giancarlo Biffi dà qualche suggerimento sulla forma dello spettacolo e i luciai si sono messi il cuore in pace e provano a ottenere il massimo risultato per quella situazione particolare che di teatro vero sembra avere ben poco. La gente accorre numerosa e l’atmosfera è quella delle grandi feste, con bambini e grandi che ridono durante lo spettacolo, che è in italiano ma con molte parole in sardo.
Mio papà non è venuto nonostante Berchidda non sia lontana. Dice che ci sono troppe parolacce e una volta l’ha detto anche a Pierpaolo e a Giancarlo: «Ma perché non togliete quelle parole sconce?», ha detto loro. «Ma le ha scritte Cicitu Masala», hanno risposto loro, preoccupati: «Non possiamo modificare un testo che è storia e che è uno dei più belli della nostra Isola al punto che lo stesso Marquez pare che ne abbia tratto ispirazione». Mio padre stasera non viene lo stesso. Verrà a uno dei prossimi concerti senza parole secondo lui sconce. Come per tutti i concerti di “!50” non c’è un palco ma il numeroso pubblico si dispone per terra, tra gli alberi, sotto un cielo stellato che fa da quinta. L’erba è stata tagliata da poco e profuma di vita. Anche questa sera la Sardegna ci ha fatto un regalo e un altro regalo mi fa Franco Stefano Ruiu, che è nuorese, durante la buona cena offerta dalla Pro Loco. una quartina in sardo che recita:
“A su bessire ‘e s’istella
B’andat su matzone a runda
Sos chi azes muzere bella
Sonadebola sa trumba
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