Monteverdi & Haendel nel caldo torrido
diario del 26 giugno
Recensione
jazz
Quella di oggi 26 giugno è ad ora la domenica più calda dell’estate. Un caldo torrido che nella Chiesa di Santu Antine a Sedilo è ancora più evidente tra le mura delle cumbessias che fanno da ospitale recinto alle migliaia di persone che stanno accorrendo per “Ichnos”, il raduno storico della musica sarda. Una sorta di Woodstock isolana che da circa venti anni si tiene sempre e solo in quel luogo magico con la veduta mozzafiato del lago Omodeo che, come ha scritto ieri Walter Porcedda sulla Nuova Sardegna “è una striscia d’acqua all’orizzonte” che si perde nel colore tenue della valle.
Leonardo Marras e Giacomo Serreli hanno insistito affinché io passassi a qualsiasi ora anche e solo per un saluto ed io ho detto di sì. Da Oristano per arrivare a Sorso bisogna attraversare tutta la 131 verso Nord e Sedilo sta a quindici minuti sia da Macomer che da Abbasanta.
Vale la pena di fare una piccola deviazione e di portare un saluto a una manifestazione che continua ad esistere e a crescere nel tentativo di fotografare le numerose realtà di tutta la musica sarda: dal jazz al rock, dall’etno alla polifonia.
Con Roberto Perisi e Gianfranco Mura ci arriviamo poco prima delle tre e a quell’ora il sole picchia davvero. Il primo gruppo è da poco salito sul grande palco che guarda la chiesa di San Costantino, a cui i cavalli dell’Ardia girano intorno durante la festa di luglio. Alle 15 la gente è ancora poca ma si capisce che sarà una grande giornata. Una lunga giornata che lentamente, con il passare delle ore, stempererà la calura per lasciare spazio al fuoco della musica. Riconosco molti dei visi che non più di dieci giorni fa ci hanno offerto la cena a base di maccarrones e pecora bollita in occasione del concerto con “Le Irregolari” e subito mi offrono da bere e da mangiare. Dico che abbiamo già mangiato ma non rifiutiamo invece un bicchiere di vermentino fresco. Del resto non puoi dire di no. Non devi, e di bicchieri di vermentino ne va giù più di uno. Fortuna vuole che si debba ripartire subito per raggiungere Uri Caine a Sorso e che questa sia una buona scusa. Mettersi in viaggio sulla Carlo Felice alle quattro del pomeriggio un po’ “buffados”, un po’ alticci in italiano, non è una brillante idea. I signori che preparano ancora pecora bollita e che versano vino e birra mi invitano a fare una foto con loro ma poi non hanno la macchina fotografica e poco importa perché ogni gesto e ogni frase è per il piacere di condividere e per il grande senso di ospitalità che in Sardegna non manca. Qualcuno chiede un autografo sul cappello di Ichnos e una signora vuole che firmi la sua maglietta e gli chiedo se ne è proprio sicura. Un’altra signora mi chiede un autografo sul mio libro ed io chiedo per chi devo farlo e lei risponde “a me” e io le dico “sì va bene”, ma le domando come si chiama di nome. Ci sono tanti musicisti che conosco e molti altri dovranno arrivare in serata per partecipare alla kermesse della musica sarda. Alla fine del secondo gruppo Giacomo Serreli mi chiama sul palco e davanti a un pubblico ancora di poche centinaia di persone dico che questo passaggio veloce a “Ichnos” è il concerto numero 51 dei miei “!50”. Ricordo anche la prima volta che partecipai al festival assieme al pianista cagliaritano Paolo Carrus e con Roberto Sechi alla batteria. “Billy di certo ci sta guardando da lassù” aggiungo e la dedica improvvisata è sua, con un pizzico di commozione da parte mia e del pubblico. Parliamo anche della Sardegna e del motivo che mi ha spinto alla follia dei 50 concerti in 50 giorni con 50 progetti diversi in 50 luoghi straordinari dell’Isola e siamo tutti d’accordo sul fatto che questa terra sia altrettanto straordinaria a dispetto di un pensiero diffuso che vorrebbe dimostrare il contrario e che finalmente sembra stia cambiando. Anche se non era previsto tiro fuori dalla custodia il flicorno e improvviso un breve brano perché so che sennò sarebbe brutto. I tecnici mi chiedono quanto suonerò e io rispondo che non lo so ma che sarà un pezzo breve. Il cronometro segna 1 minuto e 56 secondi di musica. Saluto e vado via ma la gente mi reclama ancora. Imbraccio il flicorno per la seconda volta. Stavolta per un’improvvisazione più ritmata che la gente accoglie battendo le mani a tempo. E che tempo, nonostante l’ora e il caldo! Chiudo con una nota lunga e vado via contento perché anche in questo pomeriggio torrido il calore del pubblico è stato tanto e sincero.
A Sorso ci arriviamo alle 17.30 in punto passando per Borore e poi proseguendo sulla 131 fino a Sassari e poi per la Buddi Buddi che scende tra i dolci pendii della campagna sassarese. E’ la prima volta che fanno un concerto a Geridu, il villaggio medioevale scoperto grazie all’incessante lavoro del professor Marco Milanese, direttore di Biddas, il Museo dei Villaggi Abbandonati della Sardegna che è stato inaugurato proprio ieri. Il professore ci spiega che il villaggio compare per la prima volta nella documentazione scritta negli anni 1110-1130, nel Duecento risulta associato ai Doria e nel Trecento dovrebbe essere passato nella giurisdizione territoriale di Sassari, la città vicina. La conquista catalano-aragonese intorno al 1300 e la successiva grande pestilenza del 1348 segnarono un periodo di crisi e di decadenza tale da portare alla rapida scomparsa di quello che era uno dei centri rurali più prosperi di tutto il Nord Sardegna, che all’arrivo dei Catalani contava più di 1500 abitanti. Le abitazioni oggi visibili sono circa 15 tra cui le fondamenta della Chiesa di Sant’Andrea e Geridu rappresenta un caposaldo per l’archeologia medioevale della Sardegna e sia il professor Milanese che il Sindaco Giuseppe Morghen e l’Assessore alla cultura Simonetta Pietri sono giustamente orgogliosi di questo progetto e ci credono molto e si vede perché mentre arriviamo con la macchina a Geridu scopriamo con piacere che hanno fatto mettere centinaia di torce in tutto il percorso che dal paese si snoda a piedi per due chilometri fino al luogo del concerto. Non solo hanno messo le torce ma hanno deciso di chiudere per tutto il tempo del concerto il tratto di strada provinciale che porta a Sassari in modo da costringere la gente ad arrivare in un modo diverso, scoprendo così un luogo archeologico che è al lato della strada da sempre percorsa dai sorsesi e dai sassaresi ma che nessuno ha mai visto.
Il pianoforte a coda di Gigi Corda e la mia postazione sono stati previsti in mezzo allo scavo e la gente sarà disposta intorno. Il terreno sarà delineato da altrettante fiammelle che faranno da quinta all’improvvisato palco. Luca Devito, Gianni Melis, Fabrizio dall’Oca e gli altri del service sono già li da diverse ore e si sono beccati il sole cocente del mezzogiorno mentre io ero a San Costantino a prendere altrettanto sole e a bere vermentino fresco. Sono decisamente provati ma sembrano essere felici della qualità del luogo. Stasera ci sarà anche un gruppo di volontari del posto che cureranno il servizio d’ordine e scopro che il Sindaco ha organizzato un buffet in mio onore per 200 persone dopo il concerto nel cortile del Palazzo Baronale. Uri Caine è arrivato da Monaco di Baviera su Olbia e gli consiglio di fermarsi a casa mia a Tucconi per un riposino. Da Olbia a Sorso sono più o meno un’ora e mezza di strada e la Olbia-Sassari taglia di netto la Sardegna da Est a Ovest passando a Sud del Monte Limbara e toccando il Coghinas. Quando, intorno alle 21.15, arriviamo nel luogo del concerto capiamo che stasera questo sarà particolarmente seguito. La fila della macchine parcheggiate parte dal paese e le torce sono accese. Capisco che i vigili non sono riusciti a fermare tutti i mezzi perché molti sono arrivati con grande anticipo ma altri accorrono a piedi e sembrano non volersi lamentare ma mostrano apprezzamento per l’idea. Come sarà a Sedilo, il caldo torrido della giornata ha lasciato spazio alla temperatura mite della sera.
Tra le altre cose suoniamo Monteverdi e Haendel e prima di chiudere con l’ultimo brano dico che questa notte potremmo essere in Tunisia e dedico “A Night in Tunisia” a tutto il pubblico ringraziandolo per la qualità dell’ascolto. 1500 persone (forse 2000 dicono in Comune) intorno a noi in religioso silenzio per un concerto jazz di tromba e pianoforte… Il bis sarà “E se domani” di Carlo Alberto Rossi. La versione di Mina riecheggia in quel luogo sacro. Andrea, Sonia e mio padre Lillino sono venuti da Berchidda e ritorno a casa con loro per ripartire domani per Nurachi.
Ho guadagnato un doppio pass questa sera: quello di Ichnos e quello di Sorso. Li poggio sul tavolo di casa pronto a ripartire e trovo nella borsa la poesia in sorsese che mi è stata dedicata e che è stata letta da un attore di Sassari alla fine della cena. E’ di “Salvadori Andria”, al secolo Andreuccio Bonfini che fu Sindaco di Sorso per moltissimi anni. La tengo perché racconta in modo divertente e alla maniera “sossinca” chi siamo e, in fondo, ciò che siamo stati. La Sardegna sembra non essere cambiata. Benomale!
Con Roberto Perisi e Gianfranco Mura ci arriviamo poco prima delle tre e a quell’ora il sole picchia davvero. Il primo gruppo è da poco salito sul grande palco che guarda la chiesa di San Costantino, a cui i cavalli dell’Ardia girano intorno durante la festa di luglio. Alle 15 la gente è ancora poca ma si capisce che sarà una grande giornata. Una lunga giornata che lentamente, con il passare delle ore, stempererà la calura per lasciare spazio al fuoco della musica. Riconosco molti dei visi che non più di dieci giorni fa ci hanno offerto la cena a base di maccarrones e pecora bollita in occasione del concerto con “Le Irregolari” e subito mi offrono da bere e da mangiare. Dico che abbiamo già mangiato ma non rifiutiamo invece un bicchiere di vermentino fresco. Del resto non puoi dire di no. Non devi, e di bicchieri di vermentino ne va giù più di uno. Fortuna vuole che si debba ripartire subito per raggiungere Uri Caine a Sorso e che questa sia una buona scusa. Mettersi in viaggio sulla Carlo Felice alle quattro del pomeriggio un po’ “buffados”, un po’ alticci in italiano, non è una brillante idea. I signori che preparano ancora pecora bollita e che versano vino e birra mi invitano a fare una foto con loro ma poi non hanno la macchina fotografica e poco importa perché ogni gesto e ogni frase è per il piacere di condividere e per il grande senso di ospitalità che in Sardegna non manca. Qualcuno chiede un autografo sul cappello di Ichnos e una signora vuole che firmi la sua maglietta e gli chiedo se ne è proprio sicura. Un’altra signora mi chiede un autografo sul mio libro ed io chiedo per chi devo farlo e lei risponde “a me” e io le dico “sì va bene”, ma le domando come si chiama di nome. Ci sono tanti musicisti che conosco e molti altri dovranno arrivare in serata per partecipare alla kermesse della musica sarda. Alla fine del secondo gruppo Giacomo Serreli mi chiama sul palco e davanti a un pubblico ancora di poche centinaia di persone dico che questo passaggio veloce a “Ichnos” è il concerto numero 51 dei miei “!50”. Ricordo anche la prima volta che partecipai al festival assieme al pianista cagliaritano Paolo Carrus e con Roberto Sechi alla batteria. “Billy di certo ci sta guardando da lassù” aggiungo e la dedica improvvisata è sua, con un pizzico di commozione da parte mia e del pubblico. Parliamo anche della Sardegna e del motivo che mi ha spinto alla follia dei 50 concerti in 50 giorni con 50 progetti diversi in 50 luoghi straordinari dell’Isola e siamo tutti d’accordo sul fatto che questa terra sia altrettanto straordinaria a dispetto di un pensiero diffuso che vorrebbe dimostrare il contrario e che finalmente sembra stia cambiando. Anche se non era previsto tiro fuori dalla custodia il flicorno e improvviso un breve brano perché so che sennò sarebbe brutto. I tecnici mi chiedono quanto suonerò e io rispondo che non lo so ma che sarà un pezzo breve. Il cronometro segna 1 minuto e 56 secondi di musica. Saluto e vado via ma la gente mi reclama ancora. Imbraccio il flicorno per la seconda volta. Stavolta per un’improvvisazione più ritmata che la gente accoglie battendo le mani a tempo. E che tempo, nonostante l’ora e il caldo! Chiudo con una nota lunga e vado via contento perché anche in questo pomeriggio torrido il calore del pubblico è stato tanto e sincero.
A Sorso ci arriviamo alle 17.30 in punto passando per Borore e poi proseguendo sulla 131 fino a Sassari e poi per la Buddi Buddi che scende tra i dolci pendii della campagna sassarese. E’ la prima volta che fanno un concerto a Geridu, il villaggio medioevale scoperto grazie all’incessante lavoro del professor Marco Milanese, direttore di Biddas, il Museo dei Villaggi Abbandonati della Sardegna che è stato inaugurato proprio ieri. Il professore ci spiega che il villaggio compare per la prima volta nella documentazione scritta negli anni 1110-1130, nel Duecento risulta associato ai Doria e nel Trecento dovrebbe essere passato nella giurisdizione territoriale di Sassari, la città vicina. La conquista catalano-aragonese intorno al 1300 e la successiva grande pestilenza del 1348 segnarono un periodo di crisi e di decadenza tale da portare alla rapida scomparsa di quello che era uno dei centri rurali più prosperi di tutto il Nord Sardegna, che all’arrivo dei Catalani contava più di 1500 abitanti. Le abitazioni oggi visibili sono circa 15 tra cui le fondamenta della Chiesa di Sant’Andrea e Geridu rappresenta un caposaldo per l’archeologia medioevale della Sardegna e sia il professor Milanese che il Sindaco Giuseppe Morghen e l’Assessore alla cultura Simonetta Pietri sono giustamente orgogliosi di questo progetto e ci credono molto e si vede perché mentre arriviamo con la macchina a Geridu scopriamo con piacere che hanno fatto mettere centinaia di torce in tutto il percorso che dal paese si snoda a piedi per due chilometri fino al luogo del concerto. Non solo hanno messo le torce ma hanno deciso di chiudere per tutto il tempo del concerto il tratto di strada provinciale che porta a Sassari in modo da costringere la gente ad arrivare in un modo diverso, scoprendo così un luogo archeologico che è al lato della strada da sempre percorsa dai sorsesi e dai sassaresi ma che nessuno ha mai visto.
Il pianoforte a coda di Gigi Corda e la mia postazione sono stati previsti in mezzo allo scavo e la gente sarà disposta intorno. Il terreno sarà delineato da altrettante fiammelle che faranno da quinta all’improvvisato palco. Luca Devito, Gianni Melis, Fabrizio dall’Oca e gli altri del service sono già li da diverse ore e si sono beccati il sole cocente del mezzogiorno mentre io ero a San Costantino a prendere altrettanto sole e a bere vermentino fresco. Sono decisamente provati ma sembrano essere felici della qualità del luogo. Stasera ci sarà anche un gruppo di volontari del posto che cureranno il servizio d’ordine e scopro che il Sindaco ha organizzato un buffet in mio onore per 200 persone dopo il concerto nel cortile del Palazzo Baronale. Uri Caine è arrivato da Monaco di Baviera su Olbia e gli consiglio di fermarsi a casa mia a Tucconi per un riposino. Da Olbia a Sorso sono più o meno un’ora e mezza di strada e la Olbia-Sassari taglia di netto la Sardegna da Est a Ovest passando a Sud del Monte Limbara e toccando il Coghinas. Quando, intorno alle 21.15, arriviamo nel luogo del concerto capiamo che stasera questo sarà particolarmente seguito. La fila della macchine parcheggiate parte dal paese e le torce sono accese. Capisco che i vigili non sono riusciti a fermare tutti i mezzi perché molti sono arrivati con grande anticipo ma altri accorrono a piedi e sembrano non volersi lamentare ma mostrano apprezzamento per l’idea. Come sarà a Sedilo, il caldo torrido della giornata ha lasciato spazio alla temperatura mite della sera.
Tra le altre cose suoniamo Monteverdi e Haendel e prima di chiudere con l’ultimo brano dico che questa notte potremmo essere in Tunisia e dedico “A Night in Tunisia” a tutto il pubblico ringraziandolo per la qualità dell’ascolto. 1500 persone (forse 2000 dicono in Comune) intorno a noi in religioso silenzio per un concerto jazz di tromba e pianoforte… Il bis sarà “E se domani” di Carlo Alberto Rossi. La versione di Mina riecheggia in quel luogo sacro. Andrea, Sonia e mio padre Lillino sono venuti da Berchidda e ritorno a casa con loro per ripartire domani per Nurachi.
Ho guadagnato un doppio pass questa sera: quello di Ichnos e quello di Sorso. Li poggio sul tavolo di casa pronto a ripartire e trovo nella borsa la poesia in sorsese che mi è stata dedicata e che è stata letta da un attore di Sassari alla fine della cena. E’ di “Salvadori Andria”, al secolo Andreuccio Bonfini che fu Sindaco di Sorso per moltissimi anni. La tengo perché racconta in modo divertente e alla maniera “sossinca” chi siamo e, in fondo, ciò che siamo stati. La Sardegna sembra non essere cambiata. Benomale!
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