Tutti odiano Vasco Brondi
Fenomenologia de Le Luci della Centrale Elettrica
Recensione
pop
Molti odiano Vasco Brondi. E con un’acrimonia davvero rara in un mondo – quello del rock indipendente – abbastanza facile all’autocelebrazione. Anche il vicino mondo della canzone d’autore – cui Le Luci della Centrale Elettrica (alias di Vasco) viene spesso accostato, e a ragione - non è noto per la crocefissione dei suoi esponenti, anzi…
Basta dare un’occhiata in rete per farsi un’idea: fra gli outing più godibili, segnalo senz’altro il generatore di versi vascobrondiani, il cui autore ci tiene a chiarire la sua posizione: «vascobrondi mi sta sul *****, e le sue canzoni mi fanno ******. Questa crudissima premessa è necessaria per spiegare che questa pagina non è un "omaggio di un appassionato", un "tributo", una di quelle simpatiche situazioni in cui fan prendono ironicamente in giro i loro beniamini». Tra le versioni più bonarie, c’è la pagina Facebook di Lucio della Centrale Elettrica. Facendo un giro sempre sulla stessa pagina potrete trovare Vasco Bondi (improbile crash con il ministro poeta), o le migliori scuse scritte da Vasco Brondi («Non ho visto la tua chiamata, ero a stendere le nostre magliette sbiadite sui cavi della luce»).
L’impressione è che – sebbene in generale il successo (pure quello indie) tenda a polarizzare gli ascoltatori – il fastidio di molti verso Brondi sia significativo di qualcos'altro. È una reazione che precede anche la delusione di alcuni per un secondo album troppo simile al primo (e il live conferma che il giovane non ha intenzione di intraprendere strade più melodiche, anzi)…. Il disco (a mio avviso, un ottimo disco), casomai, ha chiarito che Brondi sa bene quello che fa, e che quello che all’esordio era stato derubricato come genio acerbo è, in realtà, stile consapevole.
Detto questo, la ricezione di Le Luci della Centrale Elettrica ha creato polarizzazioni manichee da subito: o lo ami, o non lo amerai mai. Io stesso (e premetto che appartengo alla schiera dei fan) mi sono misurato con un grave fastidio al primo ascolto, ormai un paio d’anni fa: la parola urlata, sgraziata, pesante, personale ma allo stesso tempo generazionale (sì: piaccia o meno, Le Luci della Centrale Elettrica è la voce musicale della generazione precarizzata dei nati negli anni Ottanta) disturba, viola lo spazio prossemico dell’ascoltatore, colpisce oltre la razionalità. Non piace, non conforta ed è facile tanto all’odio quanto all’amore viscerale.
[Con tutto che – sorge il dubbio – ci sia sotto anche un fenomeno modaiolo. Lo dimostra il pubblico eterogeneo visto nella data torinese all’Hiroshima, dagli under 18 ai “fighetti” fino a quelli che cantano a squarciagola “Per combattere l’acne”: «Siamo l’esercito del SERF»… (sarebbe “SERT”; sarà il troppo amore che intorpidisce i cervelli)].
Basta dare un’occhiata in rete per farsi un’idea: fra gli outing più godibili, segnalo senz’altro il generatore di versi vascobrondiani, il cui autore ci tiene a chiarire la sua posizione: «vascobrondi mi sta sul *****, e le sue canzoni mi fanno ******. Questa crudissima premessa è necessaria per spiegare che questa pagina non è un "omaggio di un appassionato", un "tributo", una di quelle simpatiche situazioni in cui fan prendono ironicamente in giro i loro beniamini». Tra le versioni più bonarie, c’è la pagina Facebook di Lucio della Centrale Elettrica. Facendo un giro sempre sulla stessa pagina potrete trovare Vasco Bondi (improbile crash con il ministro poeta), o le migliori scuse scritte da Vasco Brondi («Non ho visto la tua chiamata, ero a stendere le nostre magliette sbiadite sui cavi della luce»).
L’impressione è che – sebbene in generale il successo (pure quello indie) tenda a polarizzare gli ascoltatori – il fastidio di molti verso Brondi sia significativo di qualcos'altro. È una reazione che precede anche la delusione di alcuni per un secondo album troppo simile al primo (e il live conferma che il giovane non ha intenzione di intraprendere strade più melodiche, anzi)…. Il disco (a mio avviso, un ottimo disco), casomai, ha chiarito che Brondi sa bene quello che fa, e che quello che all’esordio era stato derubricato come genio acerbo è, in realtà, stile consapevole.
Detto questo, la ricezione di Le Luci della Centrale Elettrica ha creato polarizzazioni manichee da subito: o lo ami, o non lo amerai mai. Io stesso (e premetto che appartengo alla schiera dei fan) mi sono misurato con un grave fastidio al primo ascolto, ormai un paio d’anni fa: la parola urlata, sgraziata, pesante, personale ma allo stesso tempo generazionale (sì: piaccia o meno, Le Luci della Centrale Elettrica è la voce musicale della generazione precarizzata dei nati negli anni Ottanta) disturba, viola lo spazio prossemico dell’ascoltatore, colpisce oltre la razionalità. Non piace, non conforta ed è facile tanto all’odio quanto all’amore viscerale.
[Con tutto che – sorge il dubbio – ci sia sotto anche un fenomeno modaiolo. Lo dimostra il pubblico eterogeneo visto nella data torinese all’Hiroshima, dagli under 18 ai “fighetti” fino a quelli che cantano a squarciagola “Per combattere l’acne”: «Siamo l’esercito del SERF»… (sarebbe “SERT”; sarà il troppo amore che intorpidisce i cervelli)].
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