It's only northern soul
Al Torino Film Festival SoulBoy di Shimmy Marcus
Recensione
pop
Lui, adolescente senza qualità trova nel ballo una ragione di vita. Dapprima solo per corteggiare lei – bellissima (che, guardacaso, sta con il cattivone superballerino boss della discoteca e spacciatore); poi, via via, prendendoci gusto. Lo aiuta la sorellina del vecchio compagno di scuola, artista sensibile non più bruttina, follemente innamorata di lui che (e ce ne va) non se ne accorge, perso dietro l’altra, più bionda, più superficiale ma - in fondo - non meno carina. Fino all’atteso epilogo: umiliazione pubblica del cattivone in gara di ballo, scelta della ragazza buona quando l’altra, finalmente, sarebbe pronta a concedersi. In più, un amico un po’ sfigato ma simpatico, un datore di lavoro burbero ma buono e un contesto storico-culturale appena abbozzato.
…
Non proprio un intreccio geniale. Se non che SoulBoy, del cineasta irlandese Shimmy Marcus, in concorso al TFF, è un delizioso e affettuoso omaggio al “mito” del Northern Soul, il movimento che nel nord dell’Inghilterra tra le fine dei Sessanta e la metà dei Settanta (il film parte a Stoke-On-Trent nel 1974) segnò una generazione di giovani, recuperando – in controtendenza con la scena progressiva e psichedelica di Londra – la black music, e creando dapprima una tendenza da club, poi una vera sottocultura a sé. Il tutto nella feticizzazione della musica vecchia: «Cos’hai di nuovo?» chiede a un certo punto un ignaro ragazzino al venditore di vinili: «Niente, è questo il punto». aLa musica, neanche a dirlo, è strepitosa; e così le scene di ballo nel Wigan Casino (uno dei templi del Northern Soul) splendidamente ripreso, e così i costumi e i giovani attori. Attenta è la ricostruzione non tanto del contesto, quanto dell’intimo rapporto dei soulboys e delle soulgirls con la loro musica. Presi dal ritmo, si possono pure perdonare alcuni eccessi di didascalismo e sociologismo spiccio: SoulBoy abbandona quasi subito (dopo un prologo con cinegiornale d’epoca che pare un omaggio a The Full Monty) il sottotesto storico. La testa del regista rimane sulla musica, il corpo sulla pista da ballo, e si esce con la voglia di comprarsi una borsa Adidas.
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Non proprio un intreccio geniale. Se non che SoulBoy, del cineasta irlandese Shimmy Marcus, in concorso al TFF, è un delizioso e affettuoso omaggio al “mito” del Northern Soul, il movimento che nel nord dell’Inghilterra tra le fine dei Sessanta e la metà dei Settanta (il film parte a Stoke-On-Trent nel 1974) segnò una generazione di giovani, recuperando – in controtendenza con la scena progressiva e psichedelica di Londra – la black music, e creando dapprima una tendenza da club, poi una vera sottocultura a sé. Il tutto nella feticizzazione della musica vecchia: «Cos’hai di nuovo?» chiede a un certo punto un ignaro ragazzino al venditore di vinili: «Niente, è questo il punto». aLa musica, neanche a dirlo, è strepitosa; e così le scene di ballo nel Wigan Casino (uno dei templi del Northern Soul) splendidamente ripreso, e così i costumi e i giovani attori. Attenta è la ricostruzione non tanto del contesto, quanto dell’intimo rapporto dei soulboys e delle soulgirls con la loro musica. Presi dal ritmo, si possono pure perdonare alcuni eccessi di didascalismo e sociologismo spiccio: SoulBoy abbandona quasi subito (dopo un prologo con cinegiornale d’epoca che pare un omaggio a The Full Monty) il sottotesto storico. La testa del regista rimane sulla musica, il corpo sulla pista da ballo, e si esce con la voglia di comprarsi una borsa Adidas.
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