Non esiste una spiegazione logica, sarebbe forse necessario ricorrere alla cabala, all'esoterismo, alla numerologia, chissà. Certo è che esistono periodi dell'anno in cui gli artisti mupiono a grappolo. Se ne va uno, altri in sequenza, come se le Parche si divertissero a tagliare i fili per settori.... Nel giro di poche settimane la danza ha perso tre grandi.
Se ne è andata a 70 anni Ekaterina Maximova, che è stata una fra le più grandi ballerine del Novecento ed insieme al marito Vladimir Vassiliev ha costituito una coppia mitica al Bol'šoj di Mosca (tra le ultime grandi dive, viso indimenticabile, personalità spiccata. La vedevi e pensavi: è lei, è Katia. Oggi c'è un'omologazione terribile anche nel balletto, un po' come accade ha Hollywood: alzi la mano che riconosce al primo colpo tante divette pure strapagate; un tempo chi avrebbe confuso la Hayworth con la Stanwick, la Crawford con Grace Kelly, per tacere di Marilyn...).
Da poco ci ha lasciati, a 69 anni, uccisa da un tumore feroce e repentino, Pina Bausch: colei per la quale è stato coniato il termine tanztheater che tanti epigoni ha ancor oggi, la più grande nel portare in palcoscenico (con professionismo implacabile al di là dell'apparente e sbrindellato andirivieni in scena) l'umanità vera, quella di tutti i giorni: uomini e donne ordinari eppure grandi nelle loro debolezze. Con malinconia e ironia.
E ora Merce Cunningham. Il 16 aprile alla BAM di New York, presente l'intera intellighenzia cittadina, erano stati celebrati i suo 90 anni. Obbligato sulla sedia a rotelle da un artrosi devastante ma libero e acuto nella mente, eterno ragazzo ad onta degli acciacchi, aveva curato personalmente uno spettacolo che era un po' la summa della sua ultracinquantennale carriera. E con lui se ne è andato un autentico rivoluzionario, tanto dolce e modesto nel tratto quanto dirompente nel mettere in scena una danza che - al primo impatto - molti definirono "non danza". Gran complimento per Merce (danzatore ribelle della compagnia di Martha Graham, insofferente alla rigidità dell'impostazione tecnica, alla narrazione, allo psicologismo) che al contrario decise di proporre al pubblico altri concetti: il palcoscenico non aveva più prospettiva, lo spazio è determinato dal corpo del danzatore il quale diventa il centro di tutto, la direzione varia a seconda delle circostanze,musica e danza sono entità separate: la musica si produce nel momento in cui avviene il movimento, che mai vi è pedissequamente abbinato. E su tutto domina il principio dell'alea. La casualità. Anche un ritorno alle origini: pensiamo al periodo magdaleniano (quello cui risalgono, in certe caverne coi graffiti e orme sul terreno, le prime forme di danza) quando gli uomini primitivi,per festeggiare il fuoco, il sole, o l'uccisione di un mammuth davano vita a movimenti rudimentali ma in qualche modo organizzati. Ma non di danza libera si trattava, per Cunningham. Lui inventò anche una tecnica, e tra i primi intuì l'importanza fondamentale del rapporto indipendente sì, ma sapientemente strutturato fra musica, danza e immagine (memorabile una serata del 1952 al Black Mountain College nel North Carolina in cui Cunningham danzava, Cage (suo compagno anche nella vita e non casualmente suo musicista d'elezione) raccontava cose assurde, David Tudor suonava il piano e Rauschenberg proiettava diapositive dei suoi quadri).
Poi, sempre tra i primi, Cunningham utilizzò le nuove tecnologie: danza organizzata da sequenze stabilite col computer, ballerini con addosso sensori con l'abbattimento dei confini tra virtuale e reale. E a dominare tutto - sempre - un'indeterminatezza che se dapprima sconcertò gli spettatori, poi li avvinse sempre di più (soprattutto in occasione degli Events, serate che addirittura si adattavano al luoghi in cui avvenivano) permettendo di scoprire il piacere di una danza non imposta dall'alto, bensì percepita a seconda dell'umore, della predisposizione del momento, dell'imprevedibilità. Negli ultimi anni Merce aveva addolcito un poco le sue sperimentazioni talora assai dure scoprendo il piacere della bellezza pura: Biped, tra movenze armoniose, nitide geometrie, proiezioni dai colori meravigliosamente alternati, scenari improvvisi che si aprono suonava già come una sorta di congedo dal mondo. Con un sorriso.
Se ne è andata a 70 anni Ekaterina Maximova, che è stata una fra le più grandi ballerine del Novecento ed insieme al marito Vladimir Vassiliev ha costituito una coppia mitica al Bol'šoj di Mosca (tra le ultime grandi dive, viso indimenticabile, personalità spiccata. La vedevi e pensavi: è lei, è Katia. Oggi c'è un'omologazione terribile anche nel balletto, un po' come accade ha Hollywood: alzi la mano che riconosce al primo colpo tante divette pure strapagate; un tempo chi avrebbe confuso la Hayworth con la Stanwick, la Crawford con Grace Kelly, per tacere di Marilyn...).
Da poco ci ha lasciati, a 69 anni, uccisa da un tumore feroce e repentino, Pina Bausch: colei per la quale è stato coniato il termine tanztheater che tanti epigoni ha ancor oggi, la più grande nel portare in palcoscenico (con professionismo implacabile al di là dell'apparente e sbrindellato andirivieni in scena) l'umanità vera, quella di tutti i giorni: uomini e donne ordinari eppure grandi nelle loro debolezze. Con malinconia e ironia.
E ora Merce Cunningham. Il 16 aprile alla BAM di New York, presente l'intera intellighenzia cittadina, erano stati celebrati i suo 90 anni. Obbligato sulla sedia a rotelle da un artrosi devastante ma libero e acuto nella mente, eterno ragazzo ad onta degli acciacchi, aveva curato personalmente uno spettacolo che era un po' la summa della sua ultracinquantennale carriera. E con lui se ne è andato un autentico rivoluzionario, tanto dolce e modesto nel tratto quanto dirompente nel mettere in scena una danza che - al primo impatto - molti definirono "non danza". Gran complimento per Merce (danzatore ribelle della compagnia di Martha Graham, insofferente alla rigidità dell'impostazione tecnica, alla narrazione, allo psicologismo) che al contrario decise di proporre al pubblico altri concetti: il palcoscenico non aveva più prospettiva, lo spazio è determinato dal corpo del danzatore il quale diventa il centro di tutto, la direzione varia a seconda delle circostanze,musica e danza sono entità separate: la musica si produce nel momento in cui avviene il movimento, che mai vi è pedissequamente abbinato. E su tutto domina il principio dell'alea. La casualità. Anche un ritorno alle origini: pensiamo al periodo magdaleniano (quello cui risalgono, in certe caverne coi graffiti e orme sul terreno, le prime forme di danza) quando gli uomini primitivi,per festeggiare il fuoco, il sole, o l'uccisione di un mammuth davano vita a movimenti rudimentali ma in qualche modo organizzati. Ma non di danza libera si trattava, per Cunningham. Lui inventò anche una tecnica, e tra i primi intuì l'importanza fondamentale del rapporto indipendente sì, ma sapientemente strutturato fra musica, danza e immagine (memorabile una serata del 1952 al Black Mountain College nel North Carolina in cui Cunningham danzava, Cage (suo compagno anche nella vita e non casualmente suo musicista d'elezione) raccontava cose assurde, David Tudor suonava il piano e Rauschenberg proiettava diapositive dei suoi quadri).
Poi, sempre tra i primi, Cunningham utilizzò le nuove tecnologie: danza organizzata da sequenze stabilite col computer, ballerini con addosso sensori con l'abbattimento dei confini tra virtuale e reale. E a dominare tutto - sempre - un'indeterminatezza che se dapprima sconcertò gli spettatori, poi li avvinse sempre di più (soprattutto in occasione degli Events, serate che addirittura si adattavano al luoghi in cui avvenivano) permettendo di scoprire il piacere di una danza non imposta dall'alto, bensì percepita a seconda dell'umore, della predisposizione del momento, dell'imprevedibilità. Negli ultimi anni Merce aveva addolcito un poco le sue sperimentazioni talora assai dure scoprendo il piacere della bellezza pura: Biped, tra movenze armoniose, nitide geometrie, proiezioni dai colori meravigliosamente alternati, scenari improvvisi che si aprono suonava già come una sorta di congedo dal mondo. Con un sorriso.