Massimo Donno
Partenze
Visage Music / Materiali Sonori
Giuseppe Moffa
Terribilmente démodé
Workin' Label / IRD
Su queste pagine capita, ogni tanto, di fare qualche riflessione sui molti percorsi di quel genere noto come "canzone d'autore", che raccoglie - nell'anno 2015 - filoni molto diversi, idee talvolta contrastanti, concezioni opposite e suoni lontanissimi fra loro.
Uno "stream" che spesso è affiorato negli ultimi trent'anni (il punto di svolta è il solito Creuza de mä) è quello dei cantautori che usano - più o meno - materiali musicali di sapore "popolare", in una sorta di onda lunga del folk revival, o di controparte (più) autoriale della scena folk-world.
Due dischi recenti rientrano in questa categoria, pur con filosofie molto diverse.
Partenze è il secondo album solista del cantautore pugliese Massimo Donno, che vede l'esordio di Riccardo Tesi alla produzione artistica. «Nell'estate del 2003 - racconta Donno - raccogliendo l'invito di un amico, andai in un paesino del basso Salento a vedere alcuni concerti, in un Folk Festival. Ospite centrale di una delle serate era un organettista pistoiese, il cui nome mi era capitato sott'occhio più volte, leggendo i booklet degli album dei miei cantautori preferiti». Dalla stima artistica ad un nuovo incontro, più recente, Donno ha coinvolto Tesi come arrangiatore, produttore e coautore. Si sente, e molto: i brani scorrono fra suoni tipicamente "banditaliani", tanto nella pasta generale, negli incastri, quanto soprattutto in certe aperture armoniche dei ritornelli, che scansano decisamente da quello che di solito si fa nella canzone d'autore. I musicisti, del resto, fanno il pedigree: fra i molti ospiti compaiono anche Maurizio Geri e Gigi Biolcati (Banditaliana), Vincenzo Zitello, Stefano Saletti...
Donno dal canto suo è un bravo songwriter, che aderisce ad una concezione piuttosto classica della canzone d'autore, senza eccessivi scarti linguistici, ora con tono dolente, ora più brillante e ironico. Tutto insieme restituisce un ottimo disco, che non inventa nulla di nuovo ma si fa ricordare per la freschezza generale di suoni e parole.
Il mondo "folk" di Donno parte dal Salento ma si nasconde dietro il suono "italiano" di Tesi fino a nascondere ogni riferimento geografico. Il nuovo disco del molisano Giuseppe Moffa segue invece traiettorie diverse: polistrumentista, ricercatore, compositore, chitarrista e zampognaro, "Spedino" Moffa si era fatto notare nel 2010 per il bell'esordio da cantautore Non investo in beni immobili (Irma Records). Nel frattempo, ha portato avanti progetti molto diversi: Zampognorchestra (quartetto di zampognari anche capace di "rileggere" classici del rock) e Taraf de Gadjo, formazione gipsy-klezmer.
A differenza dei molti che scrivono in dialetto oggi in Italia, Moffa ha l'indubbio merito di tentare un lavoro non solo sulla lingua, ma anche sul materiale musicale del suo Molise, mescolando idee di varia provenienza e azzardando accostamenti imprevisti: il gospel zampognaro di "Thank you lord for givin' us Madonna di Monvergine" che apre il disco è una dichiarazione di intenti. Qui e là affiorano poi chitarre blues, andamenti manouche...
La tracklist è un misto di brani di nuova composizione e di tradizionali riletti, da "All'acque all'acque li funtanelle", versione molisana del classico del nord Italia "La bevanda sonnifera", alla canzone d'amore "A scalelle", fino a "U vecchie azzennarelle", dal repertorio di Matteo Salvatore.
Terribilmente démodé è un buon titolo (per entrambi questi dischi, in realtà!) ma non è detto che risponda al vero: uno sguardo da compositore sulla musica "di tradizione" che non cada nel rifacimento, nel popolaresco, nella retorica della "nuova tradizione" ma che segua un percorso creativo autonomo non è probabilmente fuori moda, perché di moda non lo è mai stato veramente. Dovrebbe e potrebbe - osando di più - diventarlo. Per intanto, ci accontentiamo di due buoni dischi.