Alla fine di Only Lovers Left Alive di Jim Jarmusch, c'è una sorta di visione onirica, un sogno in un film che è già di suo una specie di sogno. In un club di Tangeri, i personaggi assistono ad un concerto di Yasmine Hamdan (se non avete visto il film, recuperatelo!).
Quella apparizione ha dato (o ridato) visibilità internazionale ad una delle voci più affascinanti dell'area mediterranea, troppo poco "world" per il circuito dei festival delle musiche del mondo, troppo araba per il mainstream europeo (con l'eccezione, forse, del mercato francese).
Possiamo seguire a ritroso la carriera della Hamdan, dal recente debutto internazionale solista Ya Nass (uscito per Crammed nel 2013), da cui la canzone scelta da Jarmusch proveniva, alle collaborazioni con Mirwais (a nome Y.A.S.), al trasferimento a Parigi, fino ad arrivare al Libano della fine degli anni Novanta: lì, la Hamdan era metà del duo Soapkills, insieme a Zeid Hamdan (stesso cognome, nessuna parentela).
Era il Libano della ricostruzione post-guerra civile (il nome "soapkills" alludeva proprio alla "ripulitura" della nuova Beirut): in quel contesto, Yasmine e Zeid si inventarono un suono elettronico "nuovo", solo in parte debitore a diverse cose coeve (il trip hop inglese su tutti), rileggendo vecchie canzoni arabe, e diventando il nome di riferimento della piccola, ma storicamente ricca, scena underground di Beirut, guadagnando anche una buona visibilità internazionale.
Dopo qualche anno, le strade dei due si divisero: «La nostra etichetta francese - ci ha raccontato Zeid qualche anno fa in un'intervista - fece bancarotta dopo la rivoluzione di internet. Yasmine decise di continuare la sua carriera in Europa, dove il music business era migliore, e di firmare per una major. Io sono tornato in Libano - era il 2003/2004 - perché sentivo di avere qualcosa a cui contribuire là». E in Libano, Zeid è diventato un punto di riferimento attraverso etichette, produzioni e il portale Lebanese Underground, porta di accesso insostituibile alla scena locale.
I tre dischi autoprodotti dal duo nella prima metà degli anni Zero (Bater, Cheftak e Enta Fen) erano ormai materia difficile da ripescare, anche su internet: buono allora che la Crammed abbia deciso di pubblicare un Best Of di 14 tracce. Come suona oggi, quella musica? Sorprendentemente, senza tempo. L'elettronica algida, gli arrangiamenti minimali, i campioni di archi e gli inserti di strumenti "veri" non hanno perso smalto e rimangono lì a galleggiare, offrendo ora appigli più prevedibili all'ascoltatore europeo, ora scegliendo coordinate altre e inattese. Sempre, magnificamente, troppo poco world per la world music, troppo "arabo" per il mainstream.