Paolo Spaccamonti e Ramon Moro
I Cormorani OST
Dunque-Superbudda / Audioglobe
L’abusatissimo concetto di “colonna sonora per un film immaginario” furoreggia ormai da molti anni nelle recensioni di una grande quantità di dischi di musica strumentale (fatta eccezione per jazz e cose simili, di cui invece si può parlare invocando altri luoghi comuni). Buono per tutte le stagioni e per molti musicisti, è in effetti un concetto che risolve un problema: raccontare quelle musiche che portano con sé suggestioni cinematiche, che rimandano a altro – suoni, successioni di accordi, ambienti sonori – già ascoltato e sedimentato nella memoria, ma che ci viene difficile mettere a fuoco. Materia per una semiologia della musica tutta ancora da affrontare.
Quando ci si trova di fronte al problema opposto – ovvero, a raccontare musica concepita per accompagnare l’immagine, per raccontare qualcosa che c’è – si può però essere altrettanto in difficoltà: è il caso della colonna composta e suonata da Ramon Moro e Paolo Spaccamonti per I Cormorani, opera prima del regista Fabio Bobbio uscito a dicembre 2016, presentato a Nyon e allo ShorTS Film Festival di Trieste, dove ha vinto il Premio della Critica.
Come si sarà intuito, ho colpevolmente mancato il film di Bobbio, uscito nelle sale a dicembre. Allora, di che cosa “parlano” le musiche di Spaccamonti e Moro? Che cosa commentano, che cosa raccontano, in che rapporto stanno con le immagini e la storia de I Cormorani (una sorta di racconto di formazione adolescenziale)?
In realtà, le coordinate della collaborazione fra Paolo Spaccamonti (chitarrista elettrico “totale”, esperto tessitore di paesaggi sonori - QUI abbiamo parlato del suo Rumors) e Ramon Moro (trombettista, già con 3Quietmen) sono perfettamente tracciabili anche senza aver visto il film. Solo, ci si ritrova ad ascoltare un disco diverso da quello previsto dagli autori. Lo stesso Bobbio ha rivelato di aver deciso di collaborare con i due musicisti per la loro «abilità nel saper descrivere spazi e atmosfere con la loro musica, la loro capacità di rapire l’ascoltatore e trasportarlo in ambienti e situazioni lontane». E così fanno le musiche de I Cormorani: sono musiche dilatate, lente e spesso dolenti, con un grande spazio di riverberi e delay intorno, da ascoltare in primo piano e da lasciare in sottofondo mentre si fa altro.
Sono musiche che parlano di cinema già da sole (rimandando ad altre colonne sonore, ad altre sonorizzazioni: gli autori citano almeno il Ry Cooder di Paris Texas, o Chinatown di Polanski fra i rimandi, e altri ce ne sarebbero nella memoria), e che rimandano a innumerevoli universi musicali (il post rock alla Explosions in the Sky e dintorni, tutta la letteratura per tromba post-Davis, una certa elettronica alla Ben Frost)… Splendida in particolare la title track, con un cristallino arpeggio di chitarra elettrica che poco a poco annega in effetti e feedback.
Alla fine, per mancanza di alternative, ci si fa un proprio film proprio e si ha quasi paura di essere smentiti. E se il vero I Cormorani non fosse all’altezza di quello immaginato? Quello che ho in mente io, per esempio, è proprio un gran bel film.
Dopo la data di presentazione al Superbudda di Torino, Paolo Spaccamonti e Ramon Moro saranno in giro a presentare il disco nelle prossime settimane: il 31 gennaio a Sarzana, il 1° febbraio al Circolo Dong di Recanati, il 2 ad Avellino, il 3 a Monopoli, il 4 a Viterbo, il 5 a Fano.