Raoul Björkenheim sulle tracce di Coltrane
Il chitarrista in quartetto con Silvia Bolognesi, Tiziano Tononi ed Emanuele Parrini omaggia John Coltrane in Solar Winds
«Non c'è mai una fine. Ci sono sempre nuovi suoni da immaginare. Nuove emozioni da raccogliere. E sempre c'è questo bisogno di mantenere pure queste emozioni e questi suoni così che potremo realmente vedere cosa abbiamo scoperto nella sua più pure essenza». Così John Coltrane, citato nell'interno copertina e autore di cinque delle sette composizioni di questo Solar Winds, nuovo disco del chitarrista americano-finlandese Raoul Björkenheim, pubblicato da Long Song Records.
Un quartetto esplosivo quello che rende omaggio a Saint John, con Silvia Bolognesi al contrabbasso, Tiziano Tononi a batteria, percussioni e gong ed Emanuele Parrini al violino. Si apre con "Joy", ed è già un manifesto di quanto ascolteremo: un inno al potere taumaturgico, curativo e travolgente del jazz libero, suonato con maestria, urgenza e sincero trasporto.
Bessie Jones secondo Silvia Bolognesi
Sincopi, spigoli, satori, furori: il suono sembra scappare da ogni parte, ma la tensione verso una luce limpida resta sempre netta, chiara. Chitarra e violino sostituiscono egregiamente pianoforte e sassofono dando vita a una musica ancora ebbra, animata da un fervore religioso, da un groove instancabile, suonata con grande uso delle dinamiche e uno swing irrequieto ed irrefrenabile. Alle rivisitazioni coltraniane, (del Coltrane in viaggio verso nuove lande, deciso a sondare l'ignoto) si aggiungono due tracce, "Solar Winds" e "Volition", scritte da Björkenheim ma seguendo le orme di quel medesimo dettato celeste.
L'attacco da gospel ultraterreno di "Transition", con uno splendido solo introduttivo della Bolognesi, ci restituisce perfettamente la febbre e quel senso di preghiera indomita e di lotta che animava l'arte del genio a cui tornare, se lo si fa con questa ispirazione, è sempre un bene: il violino va in tutti gli angoli a scovare polvere e luce, la batteria macina, sbuffa, salta, corre, la chitarra aggiunge ruggine rock ad una materia già incandescente, catapultandola verso altre dimensioni, il contrabbasso irrora di sangue un cuore pulsante e fibrillante per i continui sbalzi, ma sano, giovane, robusto.
Musica che unisce al furore fisico della jam l'astrazione imprendibile e astrale dei tentativi di assoluto del sassofonista, che vengono qui reinterpretati con altrettanta forza, con altrettanta poesia, mantenendo sempre un perfetto equilibrio tra controllo e furore. Le tracce scorrono impetuose e torrenziali, viene voglia di alzare il volume al massimo, aprire la finestra, fermare uno dei rari passanti e dirgli: fermati, senti qua. L'aspetto profondamente mistico di un suono che cercava costantemente di superare se stesso risalta in tutto il suo magnetico, devoto nitore in "Living Space": ombre di altrove, sipari che si aprono su galassie, beatitudine, Big Bang delicatissimi, vita.
"Saturn" si regge su una elementare, mobile figura di basso, come un vulcano blues dal quale eruttano lapilli: poi torna una quiete cosmica con "Peace on Earth", da Infinity del 1972, registrato con la moglie Alice. Non c'era, non c'è ancora requie nella musica di John William Coltrane, la si ascolta con la stessa soggezione e lo stesso trasporto con cui si ascolta una sinfonia di Beethoven o una fuga di Bach; la volontà (e infatti l'ultima traccia si intitola proprio "Volition") dei quattro bravissimi musicisti è quella di cercare di cogliere proprio quella febbre, di inseguire quei bagliori: devozione al Maestro, padronanza dell'argomento, entusiasmo, libertà.
Un disco che trasmette urgenza e verità, un quadro vivido che sembra essere stato fatto rammentando la saggia avvertenza di Picasso: «Se dipingete, chiudete gli occhi e cantate».