Michael Formanek Very Practical Trio: anche meglio su disco
Even Better di Michael Formanek con Tim Berne e Mary Halvorson scrive una pagina nuova e affascinante del jazz di oggi
Esordio discografico per questo nuovo Very Practical Trio del contrabbassista Michael Formanek, dopo l’approdo su Intakt nel 2018 con l’Elusion Quartet (Tony Malaby, Kris Davis e Ches Smith). Sono della partita Tim Berne con il suo sax alto (i due incrociano gli strumenti sin dagli anni novanta) e Mary Halvorson, pupilla di Braxton e chitarrista sulla cresta dell’onda, con cui il leader condivide il progetto Thumbscrew.
Very Practical Trio, musica dal futuro
Dal groove implacabile e lievissimo di “Suckerpunch” capiamo subito che le cose si mettono nel migliore dei modi: una personalissima idea di canzone, quella di Formanek, lontana dal consueto modus operandi del jazz, dove sulla struttura tematica dei brani fioriscono improvvisazioni calibratissime e nitide, che aggiungono un benvenuto quid di anarchia a queste architetture perfettamente congegnante. Non si tratta affatto di musica cervellotica o accademica e algida, si badi bene; l’eccellente livello di scrittura e il talento dei tre musicisti fa galleggiare i brani in una fertile terra di mezzo tra lirismo, furore, ossessione e armonia. Ritmi asimmetrici e imprendibili che restano a mezz’aria proprio per l’assenza della batteria (scelta assolutamente vincente), soul sghembi e ornettiani , misteriosi come lo sguardo di una statua (“Like Statues”, appunto), selve astratte fittissime (“Still Here”, quasi dieci minuti di mappe in cui naufragare a occhi chiusi), visioni americane à la Frisell in acido (“Shattered”), pendii ripidissimi (“The Shifter”), geometrie, ordalie, teorie sul caos.
Un drive prodigioso, una capacità di dosare magistrale e un feeling che ha la magia del rabdomante nel battere strade che portano lontanissimo dall’ovvio. Tra frangenti più distesi e ampi (“Apple and Snake”), nevrosi matematiche (“But Will It Float”), inaspettati numeri di fugace quasi rock (“Bomb The Cactus”, forse l’unica traccia non convincente del lotto) e un mood sempre e comunque irrequieto, sfuggente, enigmatico, i tre pesi massimi, qui in stato di grazia, si confermano musicisti cruciali dell’attualità jazz , capaci di suonare puntuali pur squadernando l’ovvio, rigorosi e folli, densi e impossibili, cubisti e descrittivi.
Il sipario si chiude sui languidi fotogrammi virati seppia di “Jade Visions”. Il concerto a inizio anno a Mantova ci aveva convinto pienamente, Even Better è una conferma pienissima del livello stellare di questa formazione che reinventa la geometria: un triangolo in cui perdersi, una volta di più, ancora, ancora meglio.