Luisa Cottifogli, la voce è un albero

Come un albero d'inverno è il disco della cantante, tra sperimentazioni vocali e canti alpini

Come un albero d'inverno - Luisa Cottifogli
Disco
world
Luisa Cottifogli
Come un albero d'inverno
Visage Music
2017

“Una bella cartolina dalla montagna”: comincia con queste parole – completate da un inatteso yodel – il disco di Luisa Cottifogli, Come un albero d'inverno.

Segue un pezzo piano e voce (la title track), con una melodia ondeggiante che si avvolge come una filastrocca, e che si arricchisce poco a poco di cori, dolci vocalizzi alieni (in carico alla cantante, ovviamente) – per finire con un beat box (di Oskar Boldre) e suoni elettronici. Poi una chitarra acustica con andamento da spiaggia, altri cori (moltissimi cori) e un clarinetto in “Sailing(s)”. E ancora una toccante “Monte Canino” (dal repertorio SAT) e “Valcamonica”, entrambe con due cori maschili all’alpina… E via così fino alla conclusiva "I Say Goodbye". La voce – effettata, che imita strumenti, percussioni, che canta, che parla, che non dice nulla, che è puro suono – è al centro di tutto.

Si sarà capito, Come un albero di inverno è un oggetto difficile da catalogare – gioiosamente difficile da catalogare, come del resto è Luisa Cottifogli, cantante da sempre impegnata tanto nella musica “colta” (antica e contemporanea) quanto nel jazz e nel pop (ha cantato con i Quintorigo) quanto nella “musica tradizionale italiana” (è stata parte dei Marlevar, cantando in provenzale), e per giunta non legata a una particolare tradizione musicale come formazione (vive nell’appennino bolognese, ma è nata in Trentino da madre friulana ma di lingua slava e padre marchigiano, ed è cresciuta in Romagna).

Ovviamente, sono tutte etichette poco importanti: nelle note di copertina, la Cottifogli riporta al legame profondo e quasi intimo con la natura, che solo la vita in montagna sa dare, l’ispirazione iniziale del disco e la sua chiave di lettura: «Come un albero d’inverno ha per me un profondo significato. Da sempre l’uomo è stato messo simbolicamente in relazione con l’albero, la cui chioma si spinge verso il cielo, le cui radici scendono nella terra. Un eterno dialogo tra inferno e paradiso, tra vita e morte».

Ed è – a livello di interpretazione – probabilmente interessante che tutto il disco giri ed esista intorno alla voce, altro luogo di incontro simbolico carico di significati profondi (la parola, il suono puro, il corpo che la voce inevitabilmente porta con sé). La voce della Cottifogli è, insomma, l’albero che si radica nella sua terra, nelle sue origini, e che si eleva al cielo verso nuove e misteriose direzioni. Non è tanto il virtuosismo a interessare (c’è, ovviamente: la Cottifogli sembra conoscere ogni trucchetto del funzionamento del suo apparato fonatorio) ma il controllo, la dialettica tra la voce della canzone e la voce puro strumento che non trasmette (in apparenza) senso, tra le parole che affiorano e la voce-suono.

Un disco strano, affascinante. La fotografia di una cantante unica nel suo genere, maestra della voce in ogni sua possibilità.

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