Lo swing secondo Wayne Horvitz
Novara Jazz pubblica il Live at the Bimhuis della Wayne Horvitz European Orchestra
Si apre il sipario su uno scenario perfettamente a metà strada tra i languori sornioni di Mingus e le voglie cosmiche di Sun Ra: è "Prepaid Funeral", l'eccellente traccia di apertura dell'esordio della formazione europea del tastierista di Seattle, trapiantato a New York oramai da 40 anni, Wayne Horvitz. Oltre undici minuti di baccanali per propiziare una pioggia acustica che si manifesta immediatamente con le scaramucce calibratissime tra gli otto fiati (tra questi segnaliamo Edoardo Marraffa al sax tenore e Walter Wierbos al trombone).
Arrangiamenti rotondi, da big band, una pulsazione sempre rotolante e naturale (Zeno De Rossi alla batteria e Danilo Gallo al contrabbasso sono una macchina del groove), il leader e compositore alla conduction, appresa dall'amico Butch Morris e rielaborata secondo una propria personale chiave di lettura. Dodici musicisti, oltre ad Horvitz alla direzione, colti dal vivo nell'ottobre del 2014, in occasione delle celebrazioni del quarantennale della Bimhuis di Amsterdam. Musica grondante ritmo, notte; ammiccante e sottile, ironica e tellurica, intellettuale e fisica. Felicemente sospesa tra frangenti più riflessivi ("Trish", quasi una ballad), esplosioni in acrobatico equilibrio tra furore free, preghiere coltraniane ed energia swing ("Daylight") ed astrazioni cameristiche ("First Light").
Un valore aggiunto dell'ensemble è poi la presenza dell'ottimo pianista Alexander Hawkins, un musicista talentuoso, capace di suggerire sempre nuove domande a chi ascolta e di suonare misterioso eppure accessibile, avventuroso e accogliente, senza essere mai cervellotico o involuto. Nel discorso dell'orchestra c'è largo spazio anche per l'improvvisazione, ma la scrittura di Horvitz è comunque nitida e calibratissima: quasi memore delle splendenti ruggini dei Soft Machine di Third in "Ironbound", un pezzo che convoca divinità riottose e apparecchia tempesta, scorrendo impetuoso come un fiume che sfocia poi in un vasto oceano di improvvisazione da cui si riemerge come dopo un'apnea negli abissi.
Con la testa leggera e le sinapsi accese, il respiro corto ma la sensazione precisa di avere compiuto un'impresa: ha un che di prodigioso in effetti la furia controllata con cui l'ensemble si muove tra lampi e saette, come un grande, agilissimo animale o una macchina leggerissima e mastodontica comandata da meccanismi sottili, invisibili. Ironia, cosmologia, nostalgia, il purissimo Ellington di "Disingenous Firefight", il tentativo (riuscito) di trasportare le orchestrazioni classiche del Duca in un altrove avvolto di vaghe brume ("Forgiveness"), swing, swing e ancora swing.
Un disco che non lascia scampo, trascinante e ispiratissimo, suonato divinamente, pensato con testa e sentito col cuore. Benefico, esaltante e necessario come una camminata sotto la pioggia (l'ultima traccia, "A Walk in the Rain", dove emerge la chitarra di Alex Ward).
Un plauso a Novara Jazz per aver prodotto, in collaborazione con il festival Angelica, questo ottimo lavoro. Un classico istantaneo, prezioso antidoto contro i giorni grigi che, dopo l'estate, torneranno.