Il Made In Japan di Paal Nilssen-Love e Ken Vandermark

Diario di un tour nel Sol Levante, Japan 2019 ribadisce l’intransigente ricerca del duo norvegese-statunitense

ken vandermark
ken vandermark
Disco
jazz
Paal Nilssen-Love / Ken Vandermark
Japan 2019
PNL/Audiographic
2024

Progredire suonando dal vivo è il tratto caratterizzante che ha unito il batterista Paal Nilssen-Love e il sassofonista e clarinettista Ken Vandermark a partire dal 2002, anno della loro costituzione in duo.

Japan 2019, un piccolo mastodonte di sette CD mixato da Lasse Marhaug e tirato in cinquecento copie, riassume un giro di concerti dipanatosi lungo sedici date, concentrandosi in particolare sulle serate di Tokyo, Onomichi e Osaka.

Nelle gustoso saggio di appunti quotidiani riportato nel libretto, Vandermark a un certo punto rileva come uno spettatore, avvicinatosi al termine di un live nella capitale giapponese, gli abbia detto che “era molto diverso da quanto aveva ascoltato qualche anno prima”, affermazione che consente a Ken di evidenziare come ciò sia “il motivo per cui Paal e io continuiamo a suonare insieme, perché la nostra musica è in costante evoluzione… cambiamento e cambiamento”.

La non così banale osservazione dell’anonimo spettatore può essere verificata sul campo se si recupera in qualche maniera un altro copioso box, Extended Duos (PNL/Audiographic, 6 CD, 2014), dove sono riportate una serie di esibizioni andate in scena a Mosca, Sheffield, Chicago e Tokyo (11-12 settembre 2012, le serate a cui probabilmente si riferiva l’appassionato di cui sopra).

È un confronto che dimostra quanto e come in vent’anni Nilssen-Love e Vandermark siano riusciti ad alzare ininterrottamente la qualità delle loro interazioni, senza fissarsi su formule ripetitive.

Vent’anni sono però tanti ed è facile prevedere che Japan 2019 non entrerà nelle playlist del 2024. Obbligati come siamo dai nostri frettolosi tempi a cavalcare (anzi a precedere) l’onda e inseguire il nuovo che più nuovo non si può, si rischia facilmente di derubricare nella categoria del sorpassato e ormai vetusto quanto a inizio di Nuovo Millennio veniva invece esaltato quale principale panacea all’involuzione della scena jazzistica, ovvero l’andata e il ritorno di esperienze e collaborazioni sulla rotta che univa Chicago con il Nord scandinavo.

L’imponente mole di Japan 2019 – che innanzitutto ci sfida a ritrovare una modalità di ascolto non frammentata e parziale – rivela invece la perdurante validità di un processo creativo ancora in essere, vivace nelle forme e scintillante nei brulicanti esiti. La gamma delle emozioni che erutta a getto continuo dal cofanetto è completa, testimoniando i risultati di un processo di costruzione/decostruzione improntato sia a rinverdire storiche eredità (il free e l’ultima fase coltraniana) sia a sondare i possibili significati dell’improvvisazione radicale contemporanea.

Sullo sfondo di capacità di ascolto reciproco non comuni, dadaismo sonoro e agonismo interpretativo ipercinetico, non di rado prossimo al feroce, si intrecciano e alternano a dinamiche introspettive talvolta rilassate, elastiche, non immuni da aperture di pura poesia, oppure a scansioni ritmiche coinvolgenti, nelle quali ci si ritrova a meraviglia anche se non si è mai stati iscritti al fan club del duo.

Una coppia, Paal e Ken, che peraltro non ama stare a fissarsi negli occhi e basta. Prova ne sia, di volta in volta, il coinvolgimento in numerose tracce del disco di benemeriti musicisti locali, dal mitico Akira Sakata (sax alto, clarinetto, voce) agli altrettanto rinomati pianisti Masahiko Satoh e Yuji Takahashi, un terzetto di arzilli vegliardi che dimostra di non aver dimenticato cosa significhi l’espressione “creazione istantanea” e anzi sa come alimentarla dall’alto di un indubbio magistero.

Per gli improvvisatori, anche i più enigmatici, il Giappone è sempre stata una terra accogliente, ma bisogna tenere conto che i live contenuti in Japan 2019 si sono svolti in locali angusti, mediamente di fronte a una ventina o anche meno di persone, un dato che esplicita con brutalità la reale dimensione di musiche che sono destinate purtroppo a rimanere per pochi.

D’altro canto, artisti ammodo come Nilssen-Love e Vandermark per fortuna non sembrano fare molto caso ai numeri desolanti che sovente li accompagnano e tirano dritti per la loro strada. Anche in Giappone al duo è però capitato di dover affrontare in un’occasione una platea più ampia, costituita da persone di tutte le età. In tale contesto, scrive ancora Vandermark, “suonare per un pubblico che probabilmente non ha familiarità con il tipo di materiale presentato è un test importante per la musica che facciamo: comunicherà alle sue condizioni a persone che non necessariamente conoscono l’estetica dei linguaggi musicali coinvolti? Quella sera siamo stati in grado di catturare gli ascoltatori con l’intensa gamma di investigazioni musicali spontanee che Paal e io affrontiamo ogni volta, senza compromessi o concessioni, senza alcun tentativo di cercare di rendere la musica più facile”.

A riprova che per inchiodare le persone ai loro posti, e pure vedersi chiedere un bis, è sufficiente essere in pieno se stessi, senza genuflettersi ai gusti correnti.

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