Bruno Dorella, una chitarra e un naufragio
Concerto per chitarra solitaria è il disco in solo di Bruno Dorella, già con Ronin, OvO, Bachi da Pietra...
Sospesi tra l’attrazione gravitazionale e il desiderio di una vita acquatica: così si intitolava un magnifico disco del 1996 degli assi dell’ambient più estatica e rarefatta, Stars of the Lid; fa ripensare a quelle celesti astrazioni, a quelle assenze profonde, a quei cieli che non lasciano scampo l’inizio di Largo, il movimento iniziale di questo primo disco solista di Bruno Dorella, noto per aver mosse le acque a volte troppo calme dell’underground italiano con una pletora di progetti di varia foggia e natura (Ronin, OvO, Bachi da Pietra, GDG Modern Trio, Sigillum S, Tiresia, Jack Cannon).
Poi il sipario si apre su un lento movimento out folk che sa di Gastr del Sol pacificati, meno imprendibili, a tratti un po’ statici. Dorella è musicista intelligente e curioso e dall’orizzonte di ascolti vasto e senza preconcetti; la pluralità degli universi frequentati si riflette anche in questo lavoro che esce per Bronson Recordings, la label di Bronson Produzioni, responsabile del Bronson Club e dell’Hana Bi e di festival come Beaches Brew e Transmissions.
Da qualche anno in effetti il musicista milanese si è trasferito a Ravenna e la collaborazione con l’etichetta di Chris Angiolini era dunque inevitabile; lo stesso concerto oggetto di questo disco è stato commissionato a Dorella dal Ravenna Festival nel 2018, nell'ambito del progetto 100 chitarre.
Le movenze del secondo movimento, "Allegro con Crepe" (gran titolo), più classicamente postrock (Aerial M alle prese con una colonna sonora di un film italiano neorealista?) suonano a dire il vero interlocutorie, mentre le cose si fanno molto più interessanti quando la navigazione si fa perigliosa e le onde si increspano: le astrazioni e i segnali morse dell’inizio di "Adagio del Naufragio" funzionano perfettamente, convince meno la seconda parte più tematica, così come l’apertura di "A fondo", la chiusura di questo soliloquio per Fender Telecaster, dove una minima figura ritmica ossessiva batte sul chiodo per cercare di arginare l’inesorabile imbarcata d’acqua che sta mettendo a repentaglio la nostra salvezza.
Poi una sorta di requiem, bordoni, armonici, silenzi, miraggi, attese, mentre l’acqua, impercettibilmente ma inesorabilmente, continua ad allagare lo scafo. E proprio quando le cose si fanno più scure e minimali, quando l’ombra sancisce il suo dominio, l’azione musicale diventa più avvincente: non c’è scampo, i gorghi scuri ci risucchieranno, una vertigine di sottrazione e apnea, una pennata, una sola, ripetuta, minacciosa e implacabile, un respiro largo e sirene sullo sfondo a cantare, e poi, finalmente, sparire, nel silenzio, andando a fondo.
«Ora, le sirene hanno un’arma ancora più terribile del canto, cioè il silenzio. Non è certamente accaduto, ma potrebbe essere che qualcuno si sia salvato dal loro canto, ma non certo dal loro silenzio» ( Franz Kafka, Il silenzio delle sirene)