Un raro Pergolesi
Al Festival Pergolesi Spontini il San Guglielmo in edizione critica
Recensione
classica
Appuntamento di spicco a Jesi il 9 settembre, per il Festival Pergolesi Spontini, con la rarissima esecuzione de Li prodigi della divina grazia nella conversione e morte di San Guglielmo Duca d’Aquitania, dramma sacro di Giovan Battista Pergolesi su libretto di Ignazio Maria Mancini, presentato in prima esecuzione nella edizione critica a cura di Livio Aragona per le Edizioni Fondazione Pergolesi Spontini.
Straordinaria opera d’esordio della brevissima carriera pergolesiana, il San Guglielmo fu rappresentato la prima volta nel 1731 a Napoli, nel chiostro del monastero annesso alla Chiesa di Sant’Agnello, e costituisce per così dire il saggio conclusivo del periodo di studi del compositore: come i suoi colleghi, Pergolesi mise in musica un dramma sacro, su libretto di un funzionario ecclesiastico napoletano, che narra la vicenda edificante della conversione di San Guglielmo, sostenitore dell’antipapa Anacleto contro il papa legittimo Innocenzo II, grazie all’intervento dell’Angelo e di San Bernardo che lo guidano alla salvezza sfuggendo alle astuzie e alle manovre del Demonio.
Se la trama prende spunto da un evento storico, quello dei contrasti all’interno della Chiesa tra Anacleto ed Innocenzo, nella figura di San Guglielmo convergono le biografie di tre diversi “Guglielmi”: Guglielmo X duca d’Aquitania e conte di Poitiers, legato effettivamente alla figura di San Bernardo; Guglielmo di Gellone, anch’egli duca d’Aquitania, che dopo una vita dedicata alle armi e alla lotta contro i Saraceni si ritirò a vita monastica; e Guglielmo di Malavalle, che coronò la sua esistenza dedita all’eresia e alla lussuria con un pellegrinaggio a Gerusalemme e con l’eremitaggio.
La contaminazione di queste tre figure è frutto di una tradizione agiografica già consolidata all’epoca della stesura del libretto, e non invenzione di Mancini. La scelta di un dramma sacro, se come già detto rientrava nella tradizione dei conservatori napoletani, rispondeva anche a quella pedagogia morale e religiosa, sostenuta dall’ ”insegnare dilettando” caro ai gesuiti, che mirava a trasmettere contenuti edificanti attraverso l’immediatezza della rappresentazione teatrale. Tanto più che la vicenda spirituale di San Guglielmo è infarcita di un forte elemento comico, rappresentato dal Capitano Cuosemo, che si esprime in dialetto napoletano e che seguirà lo stesso percorso di conversione del suo signore. Il parallelismo tra le vicende spirituali di personaggi seri e comici crea, come sostiene Livio Aragona , “un effetto di dissacrazione della vicenda morale, e dall’altra parte la rafforza rendendola meno distante ed austera”, quindi più efficace nel suo fine pedagogico.
Modello teatrale per Mancini fu senz’altro il teatro spagnolo controriformistico, come gli autos sacramentales e le comedias de santos, introdotti a Napoli durante il viceregno spagnolo, che prevedevano la presenza di un personaggio buffo all’interno di una vicenda morale, con scopi di propaganda religiosa. Ma la dimensione comica non si limita alla presenza di Cuosemo, perché anche i continui travestimenti che si susseguono e che riguardano di volta in volta il Capitano, l’Angelo e soprattutto il Demonio rinviano a situazioni tipiche dell’opera buffa, così come gli stilemi musicali di alcune arie di quest’utimo personaggio o di San Bernardo.
Duplice è naturalmente il codice compositivo utilizzato dall’esordiente Pergolesi, che differenzia drasticamente le arie destinate ai personaggi seri, virtuosistiche e col da capo, ora patetiche, ora piene di fierezza, ora sentenziose, ora drammatiche, la maggior parte “parlanti”, tanto da creare un certo dinamismo nell’evoluzione della vicenda, e quelle destinate ai comici, sillabiche, ricche di ripetizioni, di monosillabi e di onomatopee. Duplice è anche la distribuzione dei registri vocali, che affida alle voci acute i personaggi spirituali, e ai bassi quelli di Cuosemo e del Demonio.
L’opera è conservata in un’unica fonte, un manoscritto redatto da un solo copista, da cui si desume anche il libretto, privo di una propria stesura autonoma. Articolata in tre atti, vi si alternano arie e recitativi, di cui due accompagnati nei momenti più drammatici (il monologo di Bernardo del primo atto, che provoca la crisi interiore di Guglielmo, e l’altro di quest’ultimo, accecato in battaglia, nel terzo atto); completano la partitura un quartetto al termine del primo atto e quattro duetti.
Tre momenti del dramma saranno oggetto di autoimprestito nella successiva Olimpiade (andando a escludere il percorso contrario, come si ipotizzò per un certo tempo, vista la natura di manoscritto non autografo dell’unica fonte): la sinfonia d’apertura, l’aria “Fremi pur quanto vuoi” cantata dall’Angelo, che diventerà “Tu di saper procura” di Aristea, e il duetto “Di pace e di contento” di Guglielmo e Arsenio che si trasformerà in “Ne’ giorni tuoi felici” di Megacle ed Aristea.
La presenza di implicite indicazioni scenografiche, ricavabili dal libretto stesso più che dalle didascalie, permettono di ascrivere questa composizione al genere rappresentativo e non all’oratorio; forma quest’ultima in cui l’opera fu adattata appena dieci anni dopo la prima esecuzione.
Proprio la levità dei cenni scenografici sembra abbia ispirato l’ambientazione direi astratta che hanno creato le scene di Benito Leonori, delicati ed eleganti quadri che hanno sottolineato le situazioni drammatiche senza mai appesantirle. Giocata sulle varie combinazioni di pannelli quadrati e rettangolari, su trasparenze e su rari riferimenti al figurativo, senza arredi, non di rado la scenografia ha preferito lo sfondo puramente nero, su cui si stagliavano gli splendidi costumi di Giusi Giustino. Alla linearità e all’efficace carica simbolica dei costumi ha fatto da corredo la altrettanto lineare e semplice regia di Francesco Nappa, priva di orpelli e di inutile retorica nella gestualità contenuta e capace di dare ad ogni personaggio una dimensione astratta e universale.
Un cast d’eccezione sia sul versante vocale (splendide Raffaella Milanesi in San Guglielmo, Arianna Vendittelli nell’Angelo, Sofia Soloviy in San Bernardo; sensazionali Clemente Antonio Daliotti in Cuosemo e Maharram Huseynov nel Demonio) sia in quello strumentale, con Christophe Rousset al cembalo e alla direzione di Les Talens Lyriques, ha fatto rivivere un’opera che contiene in sé i tratti di tutto il Pergolesi futuro, serio e buffo, confermandone ancora una volta il genio.
Straordinaria opera d’esordio della brevissima carriera pergolesiana, il San Guglielmo fu rappresentato la prima volta nel 1731 a Napoli, nel chiostro del monastero annesso alla Chiesa di Sant’Agnello, e costituisce per così dire il saggio conclusivo del periodo di studi del compositore: come i suoi colleghi, Pergolesi mise in musica un dramma sacro, su libretto di un funzionario ecclesiastico napoletano, che narra la vicenda edificante della conversione di San Guglielmo, sostenitore dell’antipapa Anacleto contro il papa legittimo Innocenzo II, grazie all’intervento dell’Angelo e di San Bernardo che lo guidano alla salvezza sfuggendo alle astuzie e alle manovre del Demonio.
Se la trama prende spunto da un evento storico, quello dei contrasti all’interno della Chiesa tra Anacleto ed Innocenzo, nella figura di San Guglielmo convergono le biografie di tre diversi “Guglielmi”: Guglielmo X duca d’Aquitania e conte di Poitiers, legato effettivamente alla figura di San Bernardo; Guglielmo di Gellone, anch’egli duca d’Aquitania, che dopo una vita dedicata alle armi e alla lotta contro i Saraceni si ritirò a vita monastica; e Guglielmo di Malavalle, che coronò la sua esistenza dedita all’eresia e alla lussuria con un pellegrinaggio a Gerusalemme e con l’eremitaggio.
La contaminazione di queste tre figure è frutto di una tradizione agiografica già consolidata all’epoca della stesura del libretto, e non invenzione di Mancini. La scelta di un dramma sacro, se come già detto rientrava nella tradizione dei conservatori napoletani, rispondeva anche a quella pedagogia morale e religiosa, sostenuta dall’ ”insegnare dilettando” caro ai gesuiti, che mirava a trasmettere contenuti edificanti attraverso l’immediatezza della rappresentazione teatrale. Tanto più che la vicenda spirituale di San Guglielmo è infarcita di un forte elemento comico, rappresentato dal Capitano Cuosemo, che si esprime in dialetto napoletano e che seguirà lo stesso percorso di conversione del suo signore. Il parallelismo tra le vicende spirituali di personaggi seri e comici crea, come sostiene Livio Aragona , “un effetto di dissacrazione della vicenda morale, e dall’altra parte la rafforza rendendola meno distante ed austera”, quindi più efficace nel suo fine pedagogico.
Modello teatrale per Mancini fu senz’altro il teatro spagnolo controriformistico, come gli autos sacramentales e le comedias de santos, introdotti a Napoli durante il viceregno spagnolo, che prevedevano la presenza di un personaggio buffo all’interno di una vicenda morale, con scopi di propaganda religiosa. Ma la dimensione comica non si limita alla presenza di Cuosemo, perché anche i continui travestimenti che si susseguono e che riguardano di volta in volta il Capitano, l’Angelo e soprattutto il Demonio rinviano a situazioni tipiche dell’opera buffa, così come gli stilemi musicali di alcune arie di quest’utimo personaggio o di San Bernardo.
Duplice è naturalmente il codice compositivo utilizzato dall’esordiente Pergolesi, che differenzia drasticamente le arie destinate ai personaggi seri, virtuosistiche e col da capo, ora patetiche, ora piene di fierezza, ora sentenziose, ora drammatiche, la maggior parte “parlanti”, tanto da creare un certo dinamismo nell’evoluzione della vicenda, e quelle destinate ai comici, sillabiche, ricche di ripetizioni, di monosillabi e di onomatopee. Duplice è anche la distribuzione dei registri vocali, che affida alle voci acute i personaggi spirituali, e ai bassi quelli di Cuosemo e del Demonio.
L’opera è conservata in un’unica fonte, un manoscritto redatto da un solo copista, da cui si desume anche il libretto, privo di una propria stesura autonoma. Articolata in tre atti, vi si alternano arie e recitativi, di cui due accompagnati nei momenti più drammatici (il monologo di Bernardo del primo atto, che provoca la crisi interiore di Guglielmo, e l’altro di quest’ultimo, accecato in battaglia, nel terzo atto); completano la partitura un quartetto al termine del primo atto e quattro duetti.
Tre momenti del dramma saranno oggetto di autoimprestito nella successiva Olimpiade (andando a escludere il percorso contrario, come si ipotizzò per un certo tempo, vista la natura di manoscritto non autografo dell’unica fonte): la sinfonia d’apertura, l’aria “Fremi pur quanto vuoi” cantata dall’Angelo, che diventerà “Tu di saper procura” di Aristea, e il duetto “Di pace e di contento” di Guglielmo e Arsenio che si trasformerà in “Ne’ giorni tuoi felici” di Megacle ed Aristea.
La presenza di implicite indicazioni scenografiche, ricavabili dal libretto stesso più che dalle didascalie, permettono di ascrivere questa composizione al genere rappresentativo e non all’oratorio; forma quest’ultima in cui l’opera fu adattata appena dieci anni dopo la prima esecuzione.
Proprio la levità dei cenni scenografici sembra abbia ispirato l’ambientazione direi astratta che hanno creato le scene di Benito Leonori, delicati ed eleganti quadri che hanno sottolineato le situazioni drammatiche senza mai appesantirle. Giocata sulle varie combinazioni di pannelli quadrati e rettangolari, su trasparenze e su rari riferimenti al figurativo, senza arredi, non di rado la scenografia ha preferito lo sfondo puramente nero, su cui si stagliavano gli splendidi costumi di Giusi Giustino. Alla linearità e all’efficace carica simbolica dei costumi ha fatto da corredo la altrettanto lineare e semplice regia di Francesco Nappa, priva di orpelli e di inutile retorica nella gestualità contenuta e capace di dare ad ogni personaggio una dimensione astratta e universale.
Un cast d’eccezione sia sul versante vocale (splendide Raffaella Milanesi in San Guglielmo, Arianna Vendittelli nell’Angelo, Sofia Soloviy in San Bernardo; sensazionali Clemente Antonio Daliotti in Cuosemo e Maharram Huseynov nel Demonio) sia in quello strumentale, con Christophe Rousset al cembalo e alla direzione di Les Talens Lyriques, ha fatto rivivere un’opera che contiene in sé i tratti di tutto il Pergolesi futuro, serio e buffo, confermandone ancora una volta il genio.
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