Pupi di Surfaro, il nuovo combat Folk

Il giornale della musica presenta i finalisti del Premio Parodi

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Dal 13 al 15 ottobre si tiene a Cagliari la nona edizione del Premio Parodi. È un'edizione di altissimo livello, che conferma come il Parodi si sia ormai imposto come il maggior appuntamento italiano dedicato alla world music: "il giornale della musica" – media partner del Premio – vi presenta gli artisti finalisti.

Nati dieci anni fa "spontaneamente, come i fiori di campo" (scrivono sul loro sito) in Sicilia, i Pupi di Surfaro propongono un "Nu Combat Folk" energico e ben suonato, debitore a modelli regionali e italiani ma ben sintonizzato sui suoni di oggi. Suttaterra, il loro secondo disco, è uscito nel 2014.

Sul vostro sito vi definite “Nu Combat Folk”… ditemi qualcosa di questa etichetta. Ha ancora senso usarla oggi?»
«All’inizio degli anni Ottanta i Clash pubblicavano il disco Combat Rock. Circa dieci anni più tardi, i Modena City Ramblers, ispirandosi alla band inglese, esordivano con il loro primo album dal titolo “Combat Folk”.
Vogliamo raccogliere l’eredità di un lungo e importante filone di progetti musicali che uniscono al loro impegno artistico un imprescindibile valore politico e sociale.
Il folk è il nostro punto di partenza, le nostre radici, la musica e la voce del popolo, della gente che forse non fa la storia, ma che la vive con grande passione. Il nostro obiettivo è quello di proporre un prodotto moderno. Vogliamo fare il folk usando un linguaggio contemporaneo – non utilizzando strumenti e cliché anacronistici, che appartengono al passato – mantenendone lo spirito autentico e appassionato. Il nostro è un progetto legato al passato, che vive nel presente, proiettato nel futuro.
Se ha ancora senso oggi? Per noi è necessario».



Quali sono i vostri modelli musicali, i vostri ascolti – in Sicilia e sulla “terra ferma”?
«Difficile citarne solo pochi. Impossibile elencarli tutti. Uno, due e tre... Rosa Balistreri, per la passione e la “raggia”. Fabrizio De André, per l’umanità e l’intelligenza. Daniele Grasso, per la follia e la lucidità. Poi, ascoltiamo di tutto e tutto è oggetto di studio e fonte di ispirazione. Ma anche letteratura, teatro, cinema, arti figurative. Senza limiti, aspettative o pregiudizi».

Voi partecipate al Premio Parodi, un concorso intestato alla “world music”. Vi riconoscete in questa etichetta?
«La “world music “ è la musica del futuro. La contaminazione musicale, l’intreccio di varie culture, senza limiti o restrizioni. Mantenendo sempre forti e riconoscibili il carattere e le peculiarità dei vari generi e identità culturali. Noi ci stiamo dentro, come a casa nostra. La sfida è quella di trovare il magico equilibrio, usando e mischiando tutti i colori della tavolozza, mantenendoli sempre spiccatamente vivi ed intatti nel loro carattere, evitando di creare un grigio polpettone informe».

Un esercizio di profezia: come sarà la “world music” fra vent’anni?
«Il nostro novo disco uscirà a novembre e si chiamerà Nemo Profeta. Quindi, un esercizio di profezia ci potrebbe creare un certo imbarazzo. Tuttavia, crediamo che la musica abbia il potere di cambiare il mondo, quando non è il mondo a cambiare la musica. Un mondo che ci spinge verso la globalizzazione, la massificazione e l‘annullamento delle nostre identità culturali, delle nostre storie, le nostre lingue e dialetti. Deve essere contrastato da una musica ed un movimento culturale che nasce dall’integrazione e dalla solidarietà e non da intolleranza e razzismo. Per noi piccoli artigiani musicisti è più facile, perché non siamo le multinazionali della musica».

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