Shye Ben Tzur, Jonny Greenwood and the Rajasthan Express
Junun
Nonesuch
Di tutti i componenti dei Radiohead, Jonny Greenwood è quello che in chiave individuale più tende a distanziarsi dai canoni del pop e del rock, muovendosi in direzione dell'avanguardia (come nella partnership con Krzysztof Penderecki) o, in questo caso, delle musiche del mondo. Folgorato dall'incontro con il compositore israeliano Shye Ben Tzur, da tempo studioso e interprete della tradizione indopakistana del qawwali (il canto devozionale tipico del sufismo), ha messo in cantiere con lui e il gruppo di musicisti chiamato Rajasthan Express un progetto che ha fruttato un disco (registrato con Nigel Godrich, produttore di fiducia della band di Oxford) e un documentario riferito al processo di lavorazione del disco stesso (diretto da Paul Thomas Anderson, regista con il quale l'artista inglese ha collaborato già firmando le colonne sonore di Vizio di forma, The Master e Il petroliere).
All'ascolto, il risultato è un'ora di musica creata con strumenti acustici, elettrici ed elettronici, che accompagna testi intonati in ebraico, hindi e urdu: un'operazione multiculturale equilibrata, in cui Greenwood occupa volutamente una posizione defilata, senza ostentare alcuna velleità da protagonista, usando chitarra, basso, tastiere varie e computer in modo del tutto funzionale all'insieme. La qualità del materiale è notevole: dal brano che apre e intesta l'album ("junun" significa "follia d'amore"), con tabla incalzanti, una tromba che sa di jazz e coro dall'afflato mistico, al mantra lento e ipnotico di "Hu", mentre di "Kalandar" colpisce la maniera in cui una sottile pulsazione digitale si amalgama con le timbriche naturali del flauto, delle ritmiche e delle voci, e di "Julus" l'euforia quasi balcanica dei fiati, anche se in assoluto l'episodio maggiormente suggestivo è "Allah Elohim", sia per l'intenzione interconfessionale espressa nel titolo sia per la squisita combinazione degli elementi che dà vita a un curioso effetto Bollywood.