Julia Holter
Have You in My Wilderness
Domino
Al quarto appuntamento discografico della carriera, colei che ama definirsi "compositrice romantica" si sottrae al rigore tematico che aveva contraddistinto i lavori precedenti - da Tragedy, basato sull'Ippolito di Euripide, a Loud City Songs, riferito al romanzo breve di Colette Gigi e al relativo film di Vincente Minnelli - per concedersi un'escursione nella giungla emotiva delle relazioni sentimentali. Non rinuncia tuttavia ad avere sponde letterarie: in "How Long?", ombrosa ballata decadente degna di Nico, affiora Sally Bowles, figura femminile che compare in Addio a Berlino di Christopher Isherwood, mentre l'articolata trama di "Lucette Stranded on the Island" è tessuta intorno a un personaggio di Camera d'albergo (ancora Colette!).
Holter è affascinata dalla complessità anche sul piano strettamente musicale: la costruzione delle canzoni non è mai banale (valga per tutte la forma avant-jazz di "Vasquez", che racconta di un bandito californiano dell'Ottocento) e dagli arrangiamenti d'impronta cameristica trapela la formazione accademica dell'autrice (diplomata in composizione al California Institute of the Arts). Ciò non le impedisce di scoccare occasionali guizzi pop: aperta da gorgheggi angelici e clavicembalo, l'iniziale "Feel You" è una squisitezza dall'arioso fascino orchestrale, replicato più in là in "Sea Calls Me Home", dove si apprezza appieno la nitidezza della scrittura. Hanno tono viceversa solenne "Betsy on the Roof", cui conferiscono intensità la voce e il pianoforte, e l'episodio conclusivo, che dà titolo all'intero album, al tempo stesso lieve e struggente. Have You in My Wilderness è nell'insieme una conferma inoppugnabile del talento cristallino di cui è dotata la trentenne artista di Los Angeles.