Weber o le radici del wagnerismo
Riuscita esecuzione concertante del Freischütz diretto da Marek Janowski con la hr Sinfoniorchester di Francoforte
È impressionante la svolta impressa all’attività della hr Sinfonieorchester, il complesso sinfonico della Radiotelevisione dell’Assia, negli anni della direzione musicale di Andrés Orozco-Estrada. Una svolta che, da un lato, punta a spazi alternativi e modalità diverse rispetto alla classica sala da concerto (vedasi il concerto “open air” di fine estate in riva al Meno). Dall’altro, punta a superare il genere strettamente sinfonico o cameristico, che resta comunque l’asse portante della programmazione. Dalla scorsa stagione, i programmi si allargano anche all’opera e, dopo Salome, è stata la volta del Freischütz proposto nella Sendsaal della Radiotelevisione dell’Assia in una versione concertante e con dialoghi condensati e adattati da Katharina Wagner in collaborazione con Daniel Weber per le voci degli attori Corinna Kirchhof e Peter Simonischek (che qualcuno ricorderà come padre invadentissimo in Toni Erdmann).
Sul podio è stato chiamato un veterano della grande tradizione musicale tedesca come Marek Janowski, non di rado protagonista nelle ultime stagioni di apprezzate esecuzioni wagneriane in concerto. È proprio a Wagner e alle sue radici così profondamente affondate nella poetica weberiana che sembrava rimandare la lettura di Janowski, che del romanticismo del Freischütz esaltava soprattutto il lato fiabesco e demoniaco. In tal senso, era riuscitissimo il quadro nella Gola del lupo del secondo atto per il rilievo plastico e il colore pittorico dato alla drammatica successione di eventi naturali e sovrannaturali. Se la hr Sinfonieorchester dava davvero il meglio di sé non solo nella dimensione sinfonica ma anche nei puntuali interventi solistici oltre che nel quartetto “campestre” del primo atto, non era da meno il superbo MDR Rundfunkchor preparato da Philipp Ahmann, una presenza corposa ma capace di insospettabili morbidezze e sinuosità sonore.
Con dei complessi così compatti c’è sempre il rischio che la componente oratoriale soverchi l’esecuzione, ma una distribuzione vocale di elevata qualità dava comunque grande rilievo anche alla dimensione più genuinamente narrativa e dunque operistica. Primeggiava la drammatica Agathe di Lise Davidsen, giovane interprete ma già apprezzata a livello internazionale grazie a un mezzo vocale che combina luminosità di timbro e solidità di emissione e la rende quindi interprete ideale per il repertorio drammatico tedesco (è stata un’ottima Ariadne ad Aix-en-Provence la scorsa estate). Max era Andreas Schager, vocalmente esuberante come al solito ma più misurato e espressivo che in altre sue prove soprattutto wagneriane anche recenti. Kaspar era invece Alan Held, efficace nel disegno ma non particolarmente accattivante sul piano vocale. Ad Ännchen regalava brio e delicata freschezza Sofia Fomina, specialmente nella varietà di umori dell’articolata romanza “Einst träumte meiner sel’gen Base” (Una volta una mia defunta cugina sognò) del terzo atto. Presenza di peso quella di Franz-Josef Selig come Eremita e comunque si faceva notare la cura particolare anche nei ruoli minori, come per Ottokar (Markus Eiche), Kuno (Andreas Bauer) e Kilian (Christopher Filler).
Due sole recite pressoché esaurite e applausi generosi per tutti.
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