Si può ridere con Wagner? A quanto pare sì. O almeno questo è quello che succede assistendo al “Divieto d’amare” allestito a Strasburgo da Mariame Clément con i toni leggeri e divertenti di un’operetta francese. La prima e sfortunata esperienza del giovanissimo Richard Wagner è la meno frequentata delle opere pre-Olandese (ossia quelle ammesse al tempio della collina verde di Bayreuth), anche se negli ultimi tempi comincia a spuntare nel cartellone di più di un teatro, il più recente il madrileno Teatro Real dove nello scorso febbraio Kasper Holten ha firmato un allestimento coprodotto con Londra e Buenos Aires.
È quasi un inno libertario alla sensualità mediterranea in una Palermo insolitamente carnevalesca contrapposta al rigore teutonico (molto ipocrita) plasticamente incarnato nel reggente Friedrich, quello del giovane Wagner, lontano anni luce dal monito di Hans Sachs sulle contaminazioni della “falsa maestà latina” nella purezza germanica dei “Meistersinger”. “Quasi” libertario poiché le regole le stabiliscono comunque i maschi e il riscatto delle donne può solo avvenire con la sottomissione al matrimonio. Se ne dichiara convinta Mariame Clément, che chiude con una nota malinconica e il gesto di tre cameriere “femen”, che scoprono provocatoriamente il seno nella carnevalata in parodistici costumi proto-wagneriani del finale, il suo spettacolo altrimenti di spumeggiante e svagata leggerezza, virtuosisticamente ambientato nello spazio unico di un caffè biedermeier affollato di borghesi, prostitute, marinai e improbabili gendarmi in lederhösen bavaresi (la scena e gli spassosi costumi sono di Julia Hansen).
Anche musicalmente si ascolta un Wagner con più di un debito all’Italia, specialmente nella costruzione delle grandi scene corali, dove si avverte più di un debito nei confronti di Rossini e Donizetti. Non mancano comunque le punte di enfasi drammatica, riservate soprattutto a Friedrich e Isabella, che fanno pensare alla coppia Pizarro-Leonore del “Fidelio”, se non fosse che qui finisce in burla come nelle “Nozze di Figaro”. Ottima la direzione dell’esperto Constantin Trinks, che sa essere leggero nel tocco ma profondo quando serve, ed è seguito da un’orchestra in gran forma. Il cast vocale funziona bene nel complesso, anche se qualche smagliatura si avverte qua e là, specialmente in Marion Ammann, la cui Isabella si vorrebbe più sciolta e capace di slancio, e in Thomas Blondelle, un Claudio con qualche impaccio di troppo. Più riuscite le prove di Benjamin Hulett, spigliatissimo Luzio, di Robert Bork, un Friedrich dall’apprezzabile spessore drammatico, di Wolfgang Bankl, divertente Brighella e di Hanne Roos, una spiritosa Dorella. Molto significativa la performance del coro. Ride molto il pubblico, che festeggia con calore tutti gli interpreti.
Note: Nuova produzione dell’Opéra national du Rhin. Date rappresentazioni all’Opéra di Strasburgo: 8, 13, 17 , 19 e 22 maggio. A La Filature di Mulhouse: 3 e 5 giugno 2016.
Interpreti: Robert Bork (Friedrich), Benjamin Hulett (Luzio), Thomas Blondelle (Claudio), Marion Ammann (Isabella), Agnieszka Slawinska (Mariana), Wolfgang Bankl (Brighella), Peter Kirk (Antonio), Jaroslaw Kitala (Angelo), Norman Patzke (Danieli), Hanne Roos (Dorella), Andreas Jaeggi (Pontio Pilato)
Regia: Mariame Clément
Scene: Julia Hansen
Costumi: Julia Hansen
Coreografo: Mathieu Guilhaumon
Orchestra: Orchestre philharmonique de Strasbourg
Direttore: Constantin Trinks
Coro: Choeurs de l'Opéra national du Rhin
Maestro Coro: Sandrine Abello
Luci: Marion Hewlett