Vistoli trionfa in casa per i dieci anni da controtenore
Il festival Rossini Open di Lugo ospita il celebre concittadino per un concerto da ‘numero uno’
Chi, lo scorso ottobre, ha avuto la fortuna di vederlo a Firenze insidiare a Cecilia Bartoli il primato degli applausi nell’Alcina di Händel, ha messo in conto di volerlo riascoltare il prima possibile. Il controtenore Carlo Vistoli, nello splendore fisico e vocale dei suoi 35 anni, è oggi poco presente in questa nostra Italia rispetto a quanto è apprezzato, richiesto e corteggiato nel resto del mondo. Ma per festeggiare il decennale della sua carriera operistica (iniziata a Cesena con un Dido and Aeneas prodotto dal locale conservatorio) ha scelto di abbandonare qualche giorno Berlino, fra una recita e l’altra della Poppea, per offrirsi alla natia Lugo di Romagna in uno speciale concerto nell’ambito del festival Rossini Open. Davanti ai vecchi professori del liceo locale e ai nuovi fans venuti da fuori, ha dato tutto sé stesso in un ricco programma da Händel a Rossini, via Vivaldi, Mozart e Gluck, in cui ha confermato di essere oggi fra i primissimi controtenori del mondo, certamente il migliore uscito dalla scuola italiana.
La sua voce non è né femminile né infantile: è in tutto e per tutto una particolare gradazione di voce maschile, com’era nel secolo scorso quella di Angelo Manzotti, com’è oggi quella di Franco Fagioli e pochi altri: una voce piena e calda, mai ‘falsa’, mai querula, che trova le sue risonanze migliori nella zona centro-grave, ma che non ha paura a salire in cadenza verso gli acuti estremi, né disdegna gli occasionali affondi di petto. E come per i due colleghi suddetti, la performance vocale migliora man mano che dal tardo Barocco si avvicina al Belcanto ottocentesco.
Se le due arie vivaldiane (da Giustino e L’Olimpiade) erano soltanto ben eseguite, i brani da Alcina portavano in pieno risalto l’esperienza della scena nella voce, cominciando così a surriscaldare il pubblico. Passato al Classicismo del secondo Settecento, l’aria da Mitridate ha goduto della più bella cadenza vocale che mi sia mai capitato di udire in Mozart (con tanto di modulazione al suo interno, come si sente solo nelle cadenze dei concerti strumentali). Ma è nei due hits finali che Vistoli ha raggiunto la perfezione stilistica ed espressiva, con un «Che farò senza Euridice» da segnalare a modello di eleganza e i «Palpiti» rossiniani finalmente sottratti alla noia in cui l’inflazione esecutiva li ha affossati negli ultimi trent’anni.
Intonazione impeccabile, dizione nitidissima, appoggiature, gruppetti, diminuzioni e varianti nella ripetizione di passi già uditi sempre impeccabili, mai banali e soprattutto mai eccessive. Totale disinvoltura nella vocalizzazione serrata; ma il sommo coinvolgimento emotivo – suo e di chi l’ascolta – si raggiunge negli andamenti lenti e patetici, nel canto espressivo lontano mille miglia dalle emissioni fisse e algide di tanti suoi colleghi stranieri. Cosa di più?
Il nostro compiacimento estetico non avrebbe tuttavia potuto raggiungere tali livelli senza l’apporto fondamentale di Filippo Pantieri, che definire pianista è poco, essendosi rivelato un’orchestra sulla tastiera, ora barocca, ora classicista, ora protoromantica. Quanti direttori dovrebbero imparare da lui come si fraseggia e soprattutto come si batte – irregolarmente cullante – il tempo della barcarola che introduce la cavatina di Tancredi!
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