Violetta al posto dei Diavoli
Le infezioni nel cast vocale causate dalla variante Omicron costringono l’Opera di Stato Bavarese a sostituire la prevista recita I diavoli di Loudun di Penderecki con La traviata di Verdi protagonista Lisette Oropesa
C’è qualcosa di ironico nell’aver deciso di sostituire la prevista recita dei I diavoli di Loudun di Krzysztof Penderecki, annullata a causa di ben cinque componenti del cast vocale risultati positivi alla nuova variante del coronavirus, con le tristi vicende della più nota vittima di infezione polmonare nella storia del melodramma, Violetta Valéry. Davanti alla necessità di far fronte alla complicata situazione, la direzione dell’Opera di Stato Bavarese ha optato per una recita aggiuntiva de La traviata, fresca di conclusione del breve ciclo delle due recite ufficiali del cartellone. In attesa di sapere se andrà in scena almeno l’ultima recita dell’attesa nuova produzione dell’opera di Krzysztof Penderecki, piatto forte dell’annuale edizione dei Münchner Festspiele, non restava che prendere docilmente atto della dolorosa sostituzione con il vecchio allestimento de La traviata curato per il Nationatheater da Günter Krämer trent’anni fa, che poteva almeno contare su una protagonista degna della grandeur di questo teatro, Lisette Oropesa, già abbondantemente rodata in questo ruolo già affrontato sulle maggiori scene liriche internazionali (si potrà ascoltare anche all’Arena di Verona il prossimo 6 agosto).
Il soprano americano, ormai più che stella in ascesa del firmamento lirico contemporaneo, non delude il pubblico offrendo, nonostante l’occasione fortunosa, una prova davvero degna delle storiche Traviate del passato. Se i suoi trascorsi come soprano lirico di coloratura, lasciavano pochi dubbi che riuscisse a superare con successo gli scogli del primo atto (e davvero il suo “Sempre libera” è di quelli da ricordare per il ferreo dominio della tecnica e lo slancio espressivo), qualche dubbio magari era lecito averlo sul seguito. Ebbene, nonostante la voce non abbia ancora uno spessore drammatico e sia poco sonora nella regione grave, Oropesa risolve con l’intelligenza della grande interprete e si impone credibilmente anche nei momenti più emotivamente intensi del secondo atto e soprattutto nella straziante agonia della protagonista fra luminose accensioni di speranza e cupa disperazione per la fine imminente del terzo atto.
Accanto a una tale prestazione maiuscola, le prove degli altri interpreti tendono inevitabilmente a essere messe in ombra. È il caso soprattutto dell’Alfredo di Stephen Costello, subentrato per una sola recita a Dmytro Popov, apprezzabile per impegno oltre che per il bel colore vocale ma visibilmente meno emotivamente partecipato della protagonista, così come per il Germont padre di Lucas Meachem, terzo dopo Simon Keenlyside e il sempre festeggiatissimo Plácido Domingo delle due recite ufficiali, che fa mostra soprattutto di solido e affidabile professionismo. Va comunque riconosciuto che la locandina di questa Traviata si fa apprezzare anche per la cura riservata ai ruoli minori grazie soprattutto all’ensemble del teatro musicalmente molto valido. È sicuramente il caso della giovane Annina di Emily Sierra, ma anche dei gaudenti Flora Bervoix di Daria Proszek, d’Obigny di Daniel Noyola e Gastone di Galeano Salas, del cupo Douphol di Bálint Szabó, dell’umanissimo Grenvil di Martin Snell ma anche dei minuscoli altri ruoli coperti da Granit Musliu (Giuseppe), Theodore Platt (il domestico di Flora), Milan Siljanov (il commissionario). L’accompagnamento di lusso è assicurato della Bayerische Staatsorchester, che suona benissimo anche in queste recite di repertorio, diretta con partecipata sensibilità e ricchezza di colori da Giedrė Šlekitė.
Quanto all’allestimento, porta piuttosto bene i suoi trent’anni come accade spesso quando si lavora per sottrazione come in questo caso. Krämer lo ha voluto fortemente centrato sul dramma della protagonista (che all’epoca della prima era Julia Varady), portata spesso sul proscenio e isolata attraverso sipari semitrasparenti dal proprio contesto sociale tenuto sullo sfondo, quasi a sottolinearne la dimensione psichica filtrata attraverso una deformante lente surrealista alla Ensor. Assenti le stravaganze, funziona bene anche la trovata di far comparire in scena quella figlia “bella siccome un angelo” sempre e solo evocata nelle parole di babbo Germont. In grande sintonia sono le essenziali le scelte scenografiche di Andreas Reinhardt, dominate dal nero impreziosito dal prezioso disegno luci di Wolfgang Göbbel e popolate di pochi oggetti dalla presenza marcante: una parete di porte come nel corridoio dei palchi di un teatro nel primo atto, una semplice distesa di sedie da giardino e un’altalena su un pavimento di foglie secche per la prima scena del secondo atto, un enorme lampadario di cristallo per la festa in casa di Flora e infine un semplice materasso schiacciato sul proscenio (e pericolosamente in bilico sulla buca dell’orchestra) da un sipario che fa intravvedere quegli oggetti che hanno segnato una vita ormai alla fine. L’essenzialità della scena è impreziosita dagli eleganti costumi anni Venti per le signore e smoking per i signori di Carlo Diappi, tutti in un rigoroso bianco e nero.
Manca parecchio pubblico in sala a causa del cambio di programma, ma non mancano i lunghi e calorosissimi applausi alla fine dello spettacolo. Accoglienza trionfale per la bravissima protagonista.
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